Il dibattito sugli stili di apprendimento accompagna la scuola da decenni ed è divenuto, ormai, quasi un luogo comune nei discorsi sulla personalizzazione della didattica. In molte aule si sente dire che un alunno è visivo, un altro uditivo, un altro ancora cinestetico e che, per ciascuno, sia necessario predisporre un percorso dedicato. Questa prospettiva rassicura, perché sembra offrire una risposta immediata all’eterogeneità, sempre più evidente delle classi e perché si presenta come un modo per rispettare le differenze individuali. Tuttavia, la ricerca scientifica degli ultimi trent’anni ha mostrato come tale idea non sia fondata su basi solide. Ciò che affascina a livello intuitivo non sempre trova riscontro empirico e rischia di trasformarsi in un mito che distrae dalle pratiche realmente efficaci. Questo articolo intende approfondire la questione, offrendo un quadro chiaro del dibattito internazionale, analizzando i rischi legati all’adozione acritica degli stili e proponendo, al contempo, alternative concrete, fondate sulle evidenze scientifiche e sulle neuroscienze dell’apprendimento
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Studente uditivo, visivo o cinestetico: sono classificazioni realmente esistenti? Le cose non stanno proprio così, vediamo perché
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Il dibattito sugli stili di apprendimento accompagna la scuola da decenni ed è divenuto, ormai, quasi un luogo comune nei discorsi sulla personalizzazione della didattica. In molte aule si sente dire che un alunno è visivo, un altro uditivo, un altro ancora cinestetico e che, per ciascuno, sia necessario predisporre un percorso dedicato. Questa prospettiva rassicura, perché sembra offrire una risposta immediata all’eterogeneità, sempre più evidente delle classi e perché si presenta come un modo per rispettare le differenze individuali. Tuttavia, la ricerca scientifica degli ultimi trent’anni ha mostrato come tale idea non sia fondata su basi solide. Ciò che affascina a livello intuitivo non sempre trova riscontro empirico e rischia di trasformarsi in un mito che distrae dalle pratiche realmente efficaci. Questo articolo intende approfondire la questione, offrendo un quadro chiaro del dibattito internazionale, analizzando i rischi legati all’adozione acritica degli stili e proponendo, al contempo, alternative concrete, fondate sulle evidenze scientifiche e sulle neuroscienze dell’apprendimento
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Il dibattito sugli stili di apprendimento accompagna la scuola da decenni ed è divenuto, ormai, quasi un luogo comune nei discorsi sulla personalizzazione della didattica. In molte aule si sente dire che un alunno è visivo, un altro uditivo, un altro ancora cinestetico e che, per ciascuno, sia necessario predisporre un percorso dedicato. Questa prospettiva rassicura, perché sembra offrire una risposta immediata all’eterogeneità, sempre più evidente delle classi e perché si presenta come un modo per rispettare le differenze individuali. Tuttavia, la ricerca scientifica degli ultimi trent’anni ha mostrato come tale idea non sia fondata su basi solide. Ciò che affascina a livello intuitivo non sempre trova riscontro empirico e rischia di trasformarsi in un mito che distrae dalle pratiche realmente efficaci. Questo articolo intende approfondire la questione, offrendo un quadro chiaro del dibattito internazionale, analizzando i rischi legati all’adozione acritica degli stili e proponendo, al contempo, alternative concrete, fondate sulle evidenze scientifiche e sulle neuroscienze dell’apprendimento
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