Gps: il Giudice del Lavoro boccia il ministero

Gps: il Giudice del Lavoro boccia il ministero

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L’Istruzione ha escluso la rettifica delle istanze presentate. Il tribunale ora apre alle correzioni

IL Giudice del Tribunale di Foggia ha deciso favorevolmente il ricorso di un aspirante presente in GPS cui l’UST di Foggia non aveva ritenuto di valutare servizi presenti in piattaforma e che, come è noto, il cattivo funzionamento del sistema durante l’inserimento delle domande di inclusione in GPS, non aveva acquisito.

“Se un aspirante docente omette di indicare un titolo già a conoscenza dell’amministrazione nella domanda di inclusione nelle graduatorie provinciali per le supplenze (Gps) ha diritto a correggere l’istanza. Lo ha stabilito il Tribunale di Foggia con un decreto emesso in sede cautelare il 2 gennaio scorso (R.G.N. 7638/2020). Il caso riguardava un’aspirante docente che aveva omesso di indicare nella domanda i servizi pregressi, confidando sul fatto che fossero stati valutati e riconosciuti dall’amministrazione in occasione della precedente tornata di inclusione e aggiornamento delle graduatorie di istituto.

La precedente disciplina, peraltro, prevedeva semplicemente che, in occasione delle tornate di aggiornamento, gli aspiranti già iscritti dovessero far valere solo i nuovi titoli e non quelli già dichiarati. L’amministrazione, però, applicando un’interpretazione restrittiva delle disposizioni contenute nell’ordinanza 60/2020 (il testo normativo che regola le Gps), non solo non ha considerato i titoli pregressi non dichiarati, ma ha addirittura precluso agli interessati di farli valere in sede di reclamo. Tant’è che le Gps, a differenza che in passato, sono state pubblicate direttamente in forma definitiva. Secondo quanto risulta a Italia Oggi, peraltro, il sistema informatico che ha gestito le domande e le graduatorie è stato programmato in modo tale da non consentire le rettifiche in corso d’opera. E siccome il sistema ha commesso molti errori, l’amministrazione ha dovuto correggere gli errori dovuti al malfunzionamento del medesimo addirittura con decreti di rettifica in autotutela. Le correzioni effettuate non hanno riguardato gli errori di coloro che hanno presentato le domande, ma solo ed esclusivamente gli errori commessi dall’amministrazione.

Errori, peraltro, incolpevoli perché dovuti in massima parte al sistema. Il Tribunale di Foggia, però, ha censurato il comportamento dell’amministrazione richiamando la vigenza del cosiddetto principio del soccorso amministrativo. Principio enunciato dall’articolo 6, della legge 241/90, che prevede l’obbligo per l’amministrazione di consentire le rettifiche dovute ad errori od omissioni da parte dei richiedenti.

A tale principio, secondo il giudice, risultano informate anche le disposizioni contenute nell’ordinanza 60/2020. Le quali prevedono che: «In caso di difformità tra i titoli dichiarati sotto forma di autocertificazione (v. art. 7, comma 10) ed i titoli “effettivamente posseduti” infatti «i dirigenti degli uffici scolastici provinciali procedono alla relativa rettifica del punteggio o all’esclusione dalla graduatoria (art. 8, comma 6)».

Citando un precedente del Tribunale di Massa (2363/2020 del 4/11/2020 RG n. 738/2020) il giudice monocratico ha spiegato che: «Tale attività di valutazione e di eventuale rideterminazione dei punteggi», si legge nel provvedimento, «pare doverosa non soltanto per escludere titoli di servizio dichiarati non conformi al vero, ma anche per assegnare il giusto punteggio in base ai dati in possesso del Miur».

Quanto all’applicabilità del principio del soccorso amministrativo, il Tribunale di Foggia ha spiegato che in casi come questo va sempre applicato. Perché si tratta di una mera carenza documentale relativa al possesso dei titoli e non dell’assenza di elementi essenziali della domanda presentata nei termini da un soggetto legittimato. Pertanto «non vi è alcun pregiudizio del canone generale della parità di trattamento tra i concorrenti venendo in considerazione esclusivamente una regolarizzazione formale documentale».

In buona sostanza, dunque, il diritto dell’aspirante docente di correggere la domanda sussiste tutte le volte che si tratta di integrare l’istanza sulla base di mere omissioni nelle dichiarazioni di titoli che sono già a conoscenza dell’amministrazione. Mentre non si applica quando si tratta di far valere titoli in riferimento ai quali l’amministrazione non ha contezza.

Nel caso esaminato dal giudice, peraltro, si trattava di titoli di servizio riguardanti servizi prestati nelle scuole paritarie. E cioè di titoli che, pur essendo a conoscenza dell’amministrazione in quanto già valutati in occasione di precedenti tornate riguardanti l’aggiornamento di graduatorie, erano stati maturati e formati da persone giuridiche esterne all’amministrazione (le scuole paritarie sono scuole private).

A maggior ragione tale principio dovrebbe valere per le situazioni che si sono verificate per effetto di omissioni nelle dichiarazioni dei titoli che riguardano servizi prestati presso le istituzioni scolastiche statali. In tali casi, infatti, l’amministrazione che gestisce e valuta la domanda (il ministero dell’istruzione) e il datore di lavoro (il ministero dell’istruzione medesimo) coincidono. Secondo il costante orientamento della Suprema corte (sez. III civile, sentenza 1° ottobre – 6 novembre 2012, n. 19158), infatti, «il personale docente della scuola si trova in rapporto organico con l’Amministrazione statale della Pubblica Istruzione, e non con i singoli istituti”

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