caroprezzi
di Rita Querzè
L’inflazione è una grande tassa che pesa in particolare sui redditi fissi da lavoro dipendente. Prendiamo un barista e un operaio. A parità di aumento dei prezzi, il barista potrà aumentare le sue entrate alzando il prezzo del caffè, recuperando così, almeno in parte, la crescita dei costi. Per l’operaio è più difficile. Perché i contratti di lavoro si rinnovano se va bene ogni tre anni (ma spesso ci vuole più tempo, tant’è che oggi oltre il 50% dei contratti è scaduto). Da qui l’emergenza salari, contro cui sabato 7 ottobre la Cgil scende in piazza con una manifestazione nazionale.
Il vero indicatore
La vera misura di quanto guadagnano le persone è quello che in economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi. Secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più dal nell’ultimo anno. Meno 7,3%. Il problema è che piove sul bagnato. Nel senso che i salari reali in Italia, sempre secondo l’Ocse, erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020. Insomma, l’alta inflazione generata dalla guerra in Ucraina e della veloce ripresa post Covid aggrava un problema che avevamo già. Se fino a questo punto i protagonisti della storia sono due — i salari e i prezzi — per capire che cosa stia succedendo bisogna introdurre un terzo attore: la produttività. La produttività è la quantità di prodotto che si riesce a sfornare nell’unità di tempo. Prendiamo due fabbriche che producono bicchieri identici, di pari qualità. Se nella prima ogni lavoratore ne produce due all’ora e nella seconda tre all’ora è evidente che la seconda realtà è decisamente più produttiva. Avrà bisogno di meno dipendenti per produrre la stessa quantità di bicchieri. Di conseguenza avrà costi più bassi e si potrà permettere anche di pagare retribuzioni più alte.
Anni Novanta: lo spartiacque
Il problema dell’Italia è che la nostra produttività ha smesso di crescere da un pezzo. Precisamente dalla metà degli anni Novanta, e infatti è da allora che le retribuzioni reali hanno smesso anch’esse di crescere. Dal 2000 al 2020, secondo l’Eurostat, in media la produttività in Italia è aumentata dello 0,33% l’anno contro l’1% della Germania e lo 0,94% della Francia. Tutto questo era già un problema prima che arrivasse l’inflazione, ma ora lo è ancora di più. Se crescesse la produttività si potrebbero aumentare le retribuzioni compensando almeno in parte la crescita dei prezzi, e nello stesso tempo non si metterebbe in difficoltà l’economia. Quest’ultima postilla è fondamentale. In realtà i salari potrebbero aumentare anche senza che cresca la produttività. Ma in quel caso si metterebbe in atto una controproducente spirale prezzi-salari. Torniamo al barista dell’esempio precedente: se il suo dipendente pretende un aumento perché il carrello della spesa è cresciuto, allora il barista, a parità di produttività, potrebbe reagire aumentando a suo volta il prezzo del caffè per recuperare quanto ha sborsato in più. Ma se tutti si comporteranno così allora tutti i prezzi aumenteranno. E il dipendente chiederà un secondo aumento. Il solito cane che si morde coda. Se invece aumentasse la produttività, si potrebbero incrementare le buste paga senza bisogno di alzare subito i prezzi. Insomma, senza rivalersi sul consumatore.
La spirale ferma ai box
In realtà nel nostro Paese, nonostante la produttività sia ferma al palo, la temuta spirale prezzi salari non è mai partita. Questo è avvenuto prima di tutto grazie a un sistema di contrattazione pensato e varato nel 1993 anche nell’ottica di stabilizzare i prezzi ed evitare la spirale. Come si diceva all’inizio in Italia i contratti vengono aggiornati se va bene ogni tre anni. E poi la contrattazione si svolge a due livelli: nazionale e aziendale. Ma a livello aziendale la contrattazione è praticata solo dal 26% delle imprese. E poi c’è da dire che, in generale, nei settori dove la produttività è bassa contrattare è più difficile. Il settore chimico produce ricchezza, ha investito, è all’avanguardia, e infatti i contratti si rinnovano appena scaduti e, di solito, con discreti aumenti. Lo stesso si può dire per la metalmeccanica. Ma nei settori a bassa produttività, soprattutto nei servizi, si spuntano aumenti risicati. Basti pensare alla vigilanza dove il contratto nazionale è stato rinnovato di recente e i lavoratori guadagnano 5,37 euro l’ora, ben sotto dei nove euro che l’opposizione vorrebbe come salario minimo.
Un comitato al Cnel
Tutto risolto allora? Non proprio. Se la «tassa» generata dall’inflazione è pagata per la quasi totalità dai lavoratori dipendenti allora è tutto il Paese ad avere un problema. Non bisogna dimenticare che oltre il 60% del nostro prodotto interno lordo è legato dai consumi interni, delle persone che abitano sul nostro territorio. Se il valore reale delle retribuzioni si abbassa così tanto e così velocemente è tutta l’economia che ne risente. E questo è un rischio soprattutto oggi perché la frenata dei consumi interni non può essere compensata da un aumento delle esportazioni visto che la locomotiva tedesca a cui siamo strettamente agganciati sta rallentando e anche l’economia cinese è in stallo. È arrivato il momento di mettere la produttività al centro. Avremmo dovuto farlo prima ma ora non si può più rimandare. Dal 2016, a seguito di una raccomandazione del Consiglio europeo, molti Paesi dell’Unione hanno nominato dei comitati per la produttività. Oggi nell’area Ocse operano una ventina di productivity board. Il Cnel si è candidato per l’Italia a diventare la sede dove elaborare proposte. Potrebbe essere un punto di partenza, purché si faccia sul serio.
Iscriviti alle newsletter di L’Economia
Whatever it Takes di Federico Fubini
Le sfide per l’economia e i mercati in un mondo instabile
Europe Matters di Francesca Basso e Viviana Mazza
L’Europa, gli Stati Uniti e l’Italia che contano, con le innovazioni e le decisioni importanti, ma anche le piccole storie di rilievo
One More Thing di Massimo Sideri
Dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)
E non dimenticare le newsletter
L’Economia Opinioni e L’Economia Ore 18
06 ott 2023
© RIPRODUZIONE RISERVATA
, L’articolo originale è stato pubblicato da, https://www.corriere.it/economia/aziende/23_ottobre_06/stipendi-perche-guadagniamo-meno-1990-in-termini-reali-come-si-puo-alzare-busta-paga-0c374516-609d-11ee-97a9-c76de737d96e.shtml, Economia, http://xml2.corriereobjects.it/rss/economia.xml, Rita Querzè,