l’analisi
di Ferruccio de Bortoli
L’inflazione questa sconosciuta. Molti italiani, i più giovani, l’hanno scoperta solo da qualche mese. Prima non sapevano nemmeno che cosa fosse. C’era chi la dava addirittura per estinta quando i prezzi scendevano e i tassi d’interesse negativi facevano sì che fosse il creditore a finanziare il debitore e non viceversa. Nel 1980, al termine di un decennio terribile, funestato da due crisi petrolifere, il tasso d’inflazione medio in Italia aveva raggiunto il 21,2 per cento. Una tragedia. L’erosione progressiva del valore reale dei redditi e dei risparmi era profonda e subdola. Il tasso composto un mistero allora come adesso. In poco tempo, senza alcuna difesa, si rischiava di perdere tutto.
La perdita del potere d’acquisto
Oggi è forse improponibile — ma è pur sempre istruttivo — l’esempio di quello che accadeva durante la Repubblica di Weimar. I tedeschi ordinavano addirittura due birre per volta perché sapevano che nel tempo di berne una il prezzo sarebbe cambiato. L’iperinflazione favorì l’ascesa al potere di Hitler. Ma basterebbe chiedere ai nostri amici argentini, che vivono con un tasso superiore al 100 per cento, per capire come ci si sente quando il valore reale del proprio reddito si spegne come una candela. Gli anziani hanno una memoria vaga di ciò che accadde negli anni Settanta e Ottanta. La nostalgia della giovinezza addolcisce i ricordi e lenisce le antiche sofferenze.
La «scala mobile»
All’inizio il pericolo dell’inflazione venne largamente sottovalutato. Poi si introdussero, per i salari, forme di indicizzazione. Il punto unico di contingenza nel 1975 — il celebre accordo tra Giovanni Agnelli, allora a capo della Confindustria e Luciano Lama, segretario della Cgil — venne salutato come una sorta di salvataggio nazionale. Si rivelò poi, alimentando la spirale tra prezzi e salari e provocando la conseguente svalutazione della lira, un cappio maledetto. La cosiddetta «scala mobile» venne abolita, coraggiosamente, dal governo di Bettino Craxi nel 1984. La sinistra perse il referendum dell’anno successivo.
I titoli di Stato
Negli anni Settanta, i risparmiatori vennero defraudati inizialmente con tassi reali negativi sui titoli di Stato. Un po’ come accade oggi anche per quei Btp che promettono una protezione completa dall’inflazione. Ma i Bot People (si chiamavano così parafrasando i boat people che fuggivano dal Vietnam, sfidando la morte nell’oceano, dopo la ritirata americana) impararono presto a pretendere di più e, negli anni Ottanta, i rendimenti reali dei titoli di Stato, detratta l’inflazione, tornarono positivi. Se allora le banche non avessero adeguato i tassi passivi sui depositi, la reazione sarebbe stata decisa, dura. Oggi, al contrario — forse perché non si comprende fino in fondo l’effetto perverso dell’inflazione — lasciando troppi soldi sui conti correnti, i risparmiatori offrono impavidi il petto alla voracità delle banche. Sono involontari donatori di sangue. Un po’ fessi. Il governo fa inutilmente la voce grossa minacciando di tassare gli extra margini degli istituti di credito, ma nello stesso tempo si avvantaggia del modesto grado di concorrenza, nell’impiego della liquidità, per collocare i titoli di Stato.
Un anestetico per i conti pubblici
L’inflazione non è solo una tassa regressiva che colpisce i più deboli, privi di alternative (e di conoscenza) degli strumenti finanziari (alcuni dei quali non sono però accessibili alla clientela minuta). È anche un formidabile anestetico. Soprattutto per i conti pubblici. Il debito pubblico sembra mordere di meno se valutato in rapporto al Prodotto interno lordo nominale gonfiato dall’aumento dei prezzi. Appare in discesa, anche se rallentato da una congiuntura economica non più favorevole come nel 2022. Eppure in sette mesi, quest’anno, il debito è aumentato di circa 100 miliardi. Non poco.
I rincari
I prezzi al consumo hanno subìto forti rincari. In alcuni casi non più giustificati dal forte aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, in parte rientrato. Chi ha ottenuto maggiori margini di guadagno — inutile farsi grandi illusioni — tende a difenderli. Al di là di tutte le belle parole che le aziende scrivono sui loro bilanci sociali. Se il prezzo del petrolio sale, come in questo momento, i prezzi di benzina gasolio e cherosene si adeguano all’istante, se scende ciò avviene molto lentamente. Specie se il settore ha poca concorrenza. Le pompe bianche (quelle senza marchio) sono così diventatelow cost solo per modo di dire. La pigrizia dell’automobilista fa il resto. Se fosse razionale non farebbe il pieno in autostrada. L’aumento stratosferico delle tariffe aeree, soprattutto per le Isole, è stato scandaloso, ma quando si lasciano sulla stessa rotta due vettori (magari persino incentivati dalle Regioni per portarvi i turisti) è fatale che si mettano d’accordo per sfruttare al massimo il picco estivo della domanda.
Il carrello della spesa
Il cosiddetto «carrello della spesa» ha fatto registrare un’inflazione a due cifre. L’accordo per calmierare i prezzi ha visto formalmente d’accordo — sollecitati dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso — produttori e distributori. Riguarderà alcuni prodotti civetta, un po’ come si fa per la pubblicità, soprattutto delle catene discount per dare la sensazione che tutto venga via per nulla, sotto costo. La realtà amara è che le famiglie consumano di meno e sacrificano spesso la qualità. Nei già citati anni Settanta, nel momento di maggior pressione sui prezzi, venne affisso un manifesto. Chiama il governo. Si chiedeva ai consumatori di segnalare le anomalie dei listini. Un fallimento. Da Diocleziano in poi, ovvero dal 300 dopo Cristo, il controllo dei prezzi genera inevitabili carenze d’offerta (leggi mercato nero). E l’imperatore romano all’epoca aveva mezzi di persuasione più efficaci del suddetto manifesto. La legge che nomina Mister Prezzi è del 2007. Una iniziativa lodevole. Il fatto che nessuno lo conosca (è Benedetto Mineo) non depone a favore del successo dell’iniziativa. Ma c’è un ulteriore effetto distorsivo del quale non si ha piena coscienza. Ed è quello dell’andamento dei prezzi relativi. Lo ha svelato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, all’ultimo workshop Teha di Cernobbio. C’è anche un’inflazione dentro l’inflazione. I prezzi di alberghi e ristoranti sono saliti da due a cinque volte in più di quelli del tessile abbigliamento. Forse, nell’area dei servizi, dovevano rifarsi dei sacrifici degli anni della pandemia. Ma la sgradevole sensazione che qualcuno se ne sia approfittato è tutt’altro che peregrina. Ecco, l’ultimo strascico malevolo dell’inflazione: un po’ di perdita di fiducia verso chi produce, distribuisce e vende.
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L’Economia Opinioni e L’Economia Ore 18
04 ott 2023
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