Novembre 29, 2023

Borse, perché adesso Wall Street teme un’impennata di fallimenti aziendali

scenari macro economici

di Walter Riolfi

Borse, perché adesso Wall Street teme un’impennata di fallimenti aziendali

La reazione delle borse europee (tra il 14 e il 15 settembre), tutte in forte rialzo dopo l’ennesimo rialzo dei tassi d’interesse, è parsa alquanto eccessiva, e persino fuori luogo. È vero che questa potrebbe essere l’ultima stretta monetaria, ma la decisione della Bce era ampiamente scontata. In due sedute, l’indice Stoxx ha guadagnato l’1,8% (1,5% il FtMib), in netto contrasto con Wall Street che ha perso lo 0,4%. E soprattutto in perfetta antitesi con il mercato obbligazionario, visto che i rendimenti del Bund sono saliti al 2,75%, pressoché ai massimi dal 2011, al tempo della crisi dei debiti sovrani. La relativa sorpresa è semmai nelle previsioni di crescita economica bruscamente tagliate dalla Bce: pil ridotto a 0,7% quest’anno (da 0,9%), all’1% nel 2024 (1,5%) e all’1,5% nel 2025 (1,6%). Se queste stime sembrano ancora generose, è tuttavia insolito per una banca centrale lasciarsi contagiare da un relativo pessimismo.

La realtà

In realtà, l’Eurozona è già in recessione e un tasso d’interesse al 4,5% è destinato a produrre ulteriori danni nei prossimi mesi, tanto più se si combina con una generalizzata contrazione dei crediti, più acuta in Italia e Germania. Al contrario, un tasso d’interesse al 5,375% può apparire coerente negli Stati Uniti, dove la spesa per consumi cresce del 3% e il pil è stimato al 2% quest’anno. Non a caso la Fed ha lasciato invariati i tassi la scorsa settimana, anche perché negli Usa i rendimenti reali sono già positivi, con il Treasury decennale al 4,45%, contro un’inflazione al 3,7% (4,3% core, depurata da energia e alimentari). In Eurozona i prezzi al consumo sono decisamente più alti: al 5,2% ad agosto (5,3% core) e si sa che, diversamente dalla Fed, il mandato politico della nostra Bce è la sola stabilità dei prezzi. Tuttavia un occhio all’economia non guasterebbe, poiché l’avvento di una seria recessione farebbe crollare l’inflazione, quantomeno quella depurata dai costi energetici. E qui s’innesta il dibattito su quando e quanto le banche centrali taglieranno i tassi d’interesse.

Gli economisti delle banche d’affari ritengono che i tempi siano maturi già nel secondo trimestre del prossimo anno in America e qualche mese dopo in Europa. Negli Usa si stima (solo al 45%) un taglio di 75 punti entro dicembre 2024 (50 sembrerebbero quasi certi). In Europa si pensa a una più che probabile riduzione di 25-50 punti. Ma questi ragionamenti sono ossessivi e hanno senso per chi fa trading sui Fed Funds al Cme: assillanti perché poggiano sulla scommessa di un calo dell’inflazione che da mesi si rivela sbagliato; pressoché fuorvianti per mercati azionari che sembrano badare solo al livello dei tassi d’interesse e non al deterioramento dell’economia.

Borse, perché adesso Wall Street teme un’impennata di fallimenti aziendali

Si potrebbe obiettare che non c’è nulla di strano se si è convinti che non ci sarà alcuna recessione (in America) e che, se le cose dovessero peggiorare, avremo tutt’al più un soft landing, il mitizzato atterraggio morbido dell’economia, con un pil in crescita dell’1-2% «appena» e una borsa che non soffrirebbe affatto. Dopo aver predicato, nell’autunno scorso, una recessione che non è mai arrivata, adesso gli economisti (delle banche d’investimento) proiettano all’infinito la crescita economica degli ultimi mesi: superiore al previsto negli Stati Uniti e in netto contrasto con le indicazioni dei sondaggi previsionali.

Questi ultimi, come pure i leading indicator, hanno sistematicamente sottovalutato l’andamento dell’economia, non tenendo conto che sussidi per 2mila miliardi, elargiti durante la pandemia, hanno alterato il comportamento dei consumatori e l’intero ciclo economico. Ma questo straordinario sostegno si sta esaurendo e le famiglie attingono ai risparmi o chiedono prestiti, mentre le aziende, già restie a emettere nuovi bond, si troveranno il prossimo anno a dover rifinanziare i debiti in scadenza a interessi ben più alti. Tassi d’interesse volati di 5 punti percentuali in 18 mesi non possono non lasciare il segno: alle finanze pubbliche, pesantemente indebitate dopo la pandemia, a quelle dei consumatori e delle aziende che negli anni d’oro dei tassi a zero hanno emesso obbligazioni come mai s’era visto.

Adesso la prospettiva di una nuova ondata di fallimenti societari si sta facendo concreta. La paventa un pessimista ostinato, come Albert Edwards di SocGen, ma la delinea anche un’analisi di S&P Global, secondo la quale, fra 9 mesi, i fallimenti tra le società a basso rating cresceranno al 4,5% in America e al 3,75% in Europa. Intanto, ad agosto, s’è registrata (globalmente) una quantità di fallimenti come non si vedeva dal 2009 e negli Usa, nei primi 7 mesi di quest’anno, si sono contate 402 richieste di bancarotta (Chapter 11), quasi il doppio del 2022 (dati Epiq Bankruptcy). Nell’Unione europea, secondo Eurostat, il numero di fallimenti è in continua crescita e nel secondo trimestre, con un aumento dell’8,4%, s’è toccato il livello più alto dal 2015, da quando Eurostat ha iniziato a raccogliere i dati. Presumibilmente è il livello più alto dalla crisi dei debiti sovrani.

Borse, perché adesso Wall Street teme un’impennata di fallimenti aziendali

Pochi ottimisti

A dispensare intatto ottimismo è rimasta quasi solo Goldman Sachs che non vede all’orizzonte nessuna recessione e nemmeno nessun atterraggio morbido dell’economia: «Nel 2024, i consumi continueranno a tener alta la crescita negli Usa e accelereranno la ripresa in Europa», scrivono gli economisti della banca in un report del 15 settembre. Ma Fitch, per la prima volta, prospetta una «probabile» recessione in America e, a maggior ragione in Europa. Per TCW l’arrivo di una recessione è solo questione di tempo. E il Wall Street Journal, notando come la prospettiva di un innocuo soft landing sia dominante tra gli operatori, avverte che dal 1945 a oggi l’economia è atterrata dolcemente una sola volta: nel 1995.

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