Novembre 29, 2023

Roma e Venezia si spopolano? «È anche colpa di Airbnb»: i dati della Sapienza

turismo

di Alessia Conzonato e Valeriano Musiu

Roma e Venezia si spopolano? «È anche colpa di Airbnb»: i dati della Sapienza

Il 29% delle case nel centro storico di Firenze viene messo in affitto tramite la piattaforma Airbnb. A Bologna il dato sale al 32%, mentre a Palermo si attesta al 25% e a Roma al 17%. Proprio nella Capitale, secondo uno studio dell’Università La Sapienza di Roma citato dal quotidiano britannico The Times, sono presenti 26 mila Airbnb. «Abbiamo concluso che il 70-90% dello spopolamento delle aree centrali di città come Roma e Venezia dipende proprio dalla conversione degli appartamenti residenziali in locazioni per gli affitti brevi» spiega al Corriere Filippo Celata, professore dell’università la Sapienza e autore dello studio “Overtourism and online short-term rental platforms in Italian cities”, pubblicato sulla rivista Journal of Sustainable Tourism. Una situazione, quella degli affitti brevi nelle città italiane più turistiche, a cui il governo ha provato a mettere freno con una strategia che, tuttavia, si sta scontrando con le resistenze del ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Vediamo nel dettaglio cosa succede.

Quanti sono gli Airbnb nei centri cittadini

La mancanza di dati è uno dei maggiori problemi quando si parla di affitti brevi su Airbnb. Tuttavia, secondo Celata, è lecito pensare che un appartamento presente sulla piattaforma non sia disponibile per gli affitti a lungo termine. «Per ottenere i dati ci siamo basati sull’offerta disponibile sul portale di Airbnb e sulle stime realizzate dal sito Inside Airbnb, concentrandoci solo sugli appartamenti interi disponibili in zone centrali e turistiche. Partendo dall’offerta su Airbnb abbiamo poi fatto un confronto con i dati Istat relativi allo stock immobiliare, restringendoli alle sole famiglie in affitto e incrociando le informazioni con i dati anagrafici della popolazione residente nei singoli quartieri», continua Celata.

Il risultato sono i dati anticipati in precedenza. Messe a punto le aree più centrali e turistiche di sei città italiane, dallo studio emerge che a Bologna il 32% degli appartamenti residenziali è adibito ad affitti brevi su Airbnb. Si tratta del dato più alto, seguito poi da Firenze (29%), Palermo (25%), Venezia (21%), Roma (17%) e Napoli (10%). Un fenomeno che, secondo Celata, è fortemente correlato al progressivo spopolamento dei centri cittadini: «I dati parlano chiaro: le aree di Roma e Venezia che registrano la maggiore concentrazione di affitti su Airbnb sono quelle dove la popolazione residente sta registrando i cali maggiori».

La stretta del governo: cosa prevede

Nonostante le critiche mosse dal vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini («Lo Stato non decida sulle proprietà private», sono state le sue parole), il governo ha deciso di andare avanti con la stretta al mercato delle locazioni a breve termine (per cui si intende un periodo tra una e 30 notti) avviato dal disegno di legge licenziato lo scorso giugno dal ministero del Turismo. Il testo, che dovrebbe diventare un decreto legge e la cui bozza è circolata nei giorni scorsi, prevede due misure principali e potenzialmente rivoluzionarie per il mercato: il pernottamento minimo di due notti e il Codice identificativo nazionale (Cin). Per quanto riguarda la prima norma, si legge: «Il contratto di locazione per finalità turistiche avente ad oggetto uno o più immobili ad uso abitativo, nei comuni capoluoghi delle città metropolitane, non può avere una durata inferiore a due notti consecutive». Si tratta di una mossa per favorire il settore alberghiero, che per i soggiorni di una sola notte diventano, quindi, l’unica soluzione disponibile. Ma il testo prevede una deroga per le famiglie composte da almeno un genitore e tre figli.

Le misure del ddl

Se il provvedimento dovesse essere approvato, ciascun proprietario non potrà destinare agli affitti brevi più di due immobili senza che questa venga considerata un’attività economica. Ciò significa che per mettere a disposizione dei turisti tre o più appartamenti, sarà necessario aprire la partita Iva e provvedere attraverso di essa al pagamento della cedolare secca. Sarà, poi, obbligatorio il Cin, Codice identificativo nazionale. «Al fine di assicurare la tutela della concorrenza, della sicurezza del territorio e per contrastare forme irregolari di ospitalità — si legge nella bozza —, il ministero del Turismo assegna, tramite apposita procedura automatizzata, un codice identificativo nazionale – Cin a ogni unità immobiliare a uso abitativo oggetto di locazione per finalità turistiche, previa presentazione in via telematica di un’istanza da parte del locatore, ancorché già munito di un codice identificativo regionale – Cir rilasciato dalla regione competente». Dovrà essere sia esposto all’esterno della casa sia nell’annuncio sulle piattaforme online e sarà compito dei comuni controllare che sia ben segnalato dagli host in ogni canale di promozione. Lo scopo dietro all’applicazione delle seguenti disposizioni è quello di regolamentare gli affitti brevi:un mercato che continua a crescere d’importanza ma che, come lamentano il settore alberghiero e quello immobiliare, è dettato da una concorrenza “sleale”.

Salvini: «La proprietà privata è sacra»

Non è d’accordo Salvini, che al convegno di Confedilizia a Piacenza, lo scorso 23 settembre, ha detto: «Ognuno deve essere libero di decidere come mettere a reddito il proprio immobile. Non penso che sia lo Stato che debba eticamente decidere dei tuoi appartamenti che cosa ne vuoi fare». Il vicepremier ha sottolineato che «la proprietà privata è sacra e non è compito dello Stato decidere se devi affittare a breve, a medio o a lungo termine. Siamo in un Paese libero». È innegabile, però, che la continua crescita del mercato degli affitti brevi abbia contribuito a un fenomeno di scarsa disponibilità di immobili per la locazione a lungo termine – necessari a lavoratori e studenti fuori sede, soprattutto nelle grandi città – e, di conseguenza, di un aumento vertiginoso dei prezzi dei canoni. Che destinare il proprio appartamento a Airbnb sia diventato più attraente, lo si evince anche dai dati di Eurostat: in Italia nel 2023, rispetto al 2022, si è registrato un incremento pari al 73% delle prenotazioni e del 70% delle notti occupate. Durante la stagione estiva dell’anno scorso, in Italia sono state prenotate oltre 38 milioni di notti attraverso le maggiori piattaforme online, con un aumento del 6,7% rispetto al 2019 (pre-pandemia). È il terzo dato più alto nell’Unione europea dopo quelli di Francia (oltre 58 milioni) e Spagna (circa 45 milioni).

Celani (Aigab): «Gli affitti brevi sono un’integrazione al reddito»

«Su Inside Airbnb (sito web che misura l’impatto degli affitti brevi sulla città di tutto il mondo, ndr) esiste una funzione che consente di identificare gli annunci che hanno preso almeno una prenotazione negli ultimi 12 mesi — afferma Marco Celani, presidente di Aigab, Associazione italiana gestori affitti brevi, a commento dei dati della Sapienza di Roma —. Per dare un’idea, su Bologna le case affittate recentemente e frequentemente scendono a 1.689, rispetto ai 4.393 annunci, che vuol dire che solo il 38% degli annunci prendono veramente prenotazioni. Su Milano si scende al 27%, su Firenze al 43%, su Roma al 42%. Cosa vuol dire? Che molte famiglie integrano i propri redditi affittando le loro case (spesso abitate) nei momenti di massima affluenza di turisti nelle loro città. È ora di prendere atto che la classe media ha scoperto questa opportunità per integrare i propri redditi, vessati da inflazione, tassi variabili, mancati adeguamenti salariali (soprattutto nel pubblico). Guardando le case stabilmente online scopriamo la vera incidenza degli affitti brevi sulle abitazioni totali delle città: 0,8% a Roma, 0,8% a Milano, 0,7% a Bologna, 2,9% a Firenze, 2,8% a Venezia. In media in queste stesse città le abitazioni sfitte sono il 14,2% (dati Istat)».

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27 set 2023

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