CONTI PUBBLICI
di Federico Fubini, Mario Sensini
È andata bene per il 2023, ma la decisione di Eurostat su come contabilizzare il Superbonus non è definitiva. Quella arriverà a metà 2024 e potrebbe essere disastrosa per i conti pubblici. Tanto che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che aspettava dall’agenzia statistica europea finalmente delle certezze sul trattamento dei bonus, ieri è andato su tutte le furie: quasi non bastassero le preoccupazioni sul quadro dei conti e dell’economia che oggi darà al Consiglio dei ministri.
A febbraio scorso Eurostat riclassificò i crediti legati al 110% come spesa pubblica, tutta sul primo anno (90 miliardi di euro fino al 2022). Cedibilità e sconto in fattura — stabilì — facevano sì che quei crediti sarebbero stati incassati di sicuro e dunque andavano iscritti a deficit negli anni, fra il 2020 e il 2022, in cui erano stati creati. Oggi però l’agenzia di Lussemburgo rimette tutto in dubbio. Vista l’entità dei crediti d’imposta incagliati, cioè ancora non goduti dai beneficiari, c’è il rischio che una parte di essi vada persa. Se così fosse, secondo Eurostat, si tornerebbe al vecchio criterio: le minori entrate sarebbero da spalmare su tutta la durata della detrazione; in sostanza, andrebbero tolte dai deficit degli anni scorsi e andrebbero ad alimentare una nuova massa di deficit in più per tutti gli anni di vita dell’attuale governo. Ciò non solo per la quota di crediti incagliati, ma per tutta la massa di oltre cento miliardi di euro di crediti d’imposta generati con i bonus. Di qui un’ulteriore nube d’incertezza sulla strategia che in teoria dovrebbe entrare nell’aggiornamento del Documento di economia e finanza (NaDef) al varo oggi e nella legge di Bilancio del mese prossimo.
Nel suo scambio con Eurostat, l’Istat assicura che il governo interverrà di nuovo. Il rischio è appunto che oltre cento miliardi di spesa spariscano dai conti del passato e tornino a pesare fino al 2027, compromettendo i deficit proprio ora che rientreranno in vigore le regole di bilancio e le procedure sanzionatorie europee. Ciò pregiudicherebbe i margini sul bilancio per anni. Paradossalmente, dopo aver scoraggiato in ogni modo la cessione dei crediti, ora per l’esecutivo potrebbe diventare urgente far sì che tutti i vecchi crediti fiscali vengano incassati. Così il fantasma del deficit da bonus resterebbe chiuso, almeno in gran parte, negli armadi del passato.
Esiste dunque adesso una ragione in più per il confronto, in corso da qualche tempo, fra il ministero dell’Economia e le banche detentrici di crediti d’imposta da bonus per somme fra gli 80 e i 90 miliardi. L’ipotesi al centro del confronto sarebbe quella di uno scambio, su base volontaria, in cui le banche cedono i crediti d’imposta ricevendo dal Tesoro titoli di Stato (Btp) di nuova emissione di valore comparabile. Se mai si facesse, l’operazione non potrebbe smobilizzare somme di crediti molto vaste. Ma così le banche aprirebbero nuovo spazio in bilancio per comprare altri crediti fiscali incagliati e aiutare così a scongiurare lo scenario ventilato da Eurostat. Ci sono poi altri obiettivi nell’operazione per ora allo studio. Uno è quello di portarsi avanti sull’impegnativo piano di finanziamento del debito dei prossimo mesi. Ma l’altro obiettivo del governo è di scongiurare la tendenza all’aumento del debito pubblico in proporzione al prodotto lordo (Pil) sul prossimo anno. Se le nuove emissioni di Btp per le banche avvenissero entro il 2023, esse andrebbero infatti contate sul debito di quest’anno e si sgraverebbe così un po’ quello del 2024.
Perché ce n’è bisogno: la frenata della crescita, l’impatto crescente dei bonus e altri fattori hanno messo in risalto proprio il rischio che il debito inverta la tendenza al calo e risalga l’anno prossimo un po’ sopra il 141% del Pil. Invece il Tesoro è determinato a mostrare un plausibile contenimento, nella NaDef che presenterà oggi. Si cercherà di concentrare maggiori collocamenti di Btp entro il 2023 anche se non andasse in porto l’operazione sulle banche. Si conta poi su uno o due miliardi di incassi da privatizzazioni, non escludendo ipotesi di cessione di quote di Mps. E si immagina per il 2024 una crescita del Pil dell’1%, ritenuta plausibile dall’Ufficio parlamentare di bilancio, benché difficile da realizzare ora che l’economia è in difficoltà. Essa dipende da un’ipotetica, netta accelerazione nelle opere del Piano di resilienza e da un’altrettanto ipotetica, netta ripresa tra sei o nove mesi.
Quanto al deficit, nella riunione al ministero dell’Economia sulle cifre della NaDef ieri pomeriggio si riteneva che nel 2023 non sarebbe stato sicuramente sotto al 5,2% e attorno al 4% nel 2024. Certo sono decine i grandi investitori esteri che non riescono a capire il grande groviglio del Superbonus. E, non capendo, si tengono alla larga dall’Italia: infatti nell’ultimo mese i rendimenti del Btp decennale sono saliti di ben 50 punti base e ieri lo spread con i Bund ha toccato quota 192.
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L’Economia Opinioni e L’Economia Ore 18
26 set 2023
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