Dicembre 1, 2023

Hudson (Sanofi): le Big Pharma globali corrono, l’Europa deve spendere di più

farmaceutica

di Federico Fubini

Hudson (Sanofi): le Big Pharma globali corrono, l’Europa deve spendere di più

Paul Hudson, 55 anni, britannico, è amministratore delegato di Sanofi dal 2019. Sotto la sua guida il gruppo farmaceutico francese ha sfiorato i 43 miliardi di euro di fatturato l’anno scorso ed è oggi il secondo d’Europa dopo la svizzera Roche.Hudson di recente era in Italia, dove Sanofi ha importanti siti produttivi, ed ha condiviso al Forum Ambrosetti di Cernobbio le sue preoccupazioni per i ritardi che l’industria europea sta accumulando. L’«Economia» del «Corriere» l’ha intervistato.

Teme che l’Europa resti indietro sugli Stati Uniti e l’Asia orientale nelle tecnologie avanzate di ultima generazione?

«Sì, è una questione urgente. Se non ci concentriamo su questo aspetto, ci sfuggirà di mano e il costo per cercare di recuperare diventerà troppo alto. Oggi l’industria farmaceutica e quindi l’innovazione in Europa sono in silenzioso declino. Ed è sorprendente, se si considerano i posti di lavoro altamente qualificati e il contributo all’economia che il nostro settore fornisce. L’Europa rallenta, ma soprattutto Cina e Stati Uniti stanno accelerando. Il divario non fa che crescere».

Anche nell’auto, i produttori europei sono messi sotto pressione dai nuovi modelli elettrici cinesi. Non trova?

«Un volta anni fa ero in Cina e si parlava di alcune super-navi da trasporto che stavano costruendo. Chiesi per cosa le stessero costruendo. Mi dissero che ne avevano cinque in diversi porti e sarebbero servite trasportare veicoli elettrici dieci anni più tardi. Allora chiesi perché lo stessero facendo. La risposta fu: ‘Perché produrremo veicoli elettrici più a buon mercato rispetto a quelli europei’. Avevano già capito che l’Europa avrebbe avuto bisogno di veicoli elettrici e stavano progettando un’auto da diecimila euro da spedire in Europa su larga scala».

E ora sta accadendo…

«È così. La concorrenza è positiva e noi abbiamo investito molto in Cina. Penso che la Cina sia incredibile, voglio che abbia successo. Sarò lì per la China International Expo a fine anno. Non si tratta di essere a favore o contro la Cina, dobbiamo assicurarci che ci sia un equilibrio. Vorrei solo che l’Europa fosse più a favore di se stessa».

Cosa significa, in pratica, per l’industria farmaceutica europea?

«I Paesi europei non hanno voluto affrontare i costi e hanno messo il 100% dei volumi di produzione di ingredienti farmaceutici in Cina. Ma questo è un rischio, ed è per questo che abbiamo carenze di medicinali. L’Europa dovrebbe mantenere il dieci o venti per cento della produzione farmaceutica in Europa, in modo da avere infrastrutture in loco per aumentarla quando necessario».

Cosa si può fare nell’Unione europea per creare un terreno più fertile all’innovazione?

«Credo che l’Europa debba scegliere le sue priorità. Per questo diciamo che è necessario uno Health Security Act, una legge sulla sicurezza sanitaria, che si occupi della resilienza delle forniture, in modo le scorte dei farmaci essenziali non si esauriscano. Dovremmo anche pensare alla decarbonizzazione dell’assistenza sanitaria e a una strategia industriale per aiutare l’industria a competere nel mondo. Ciò significa investire davvero in innovazione. Se tutti i principali mercati europei rendessero effettivamente disponibili tutte le innovazioni approvate, si verificherebbero due cose: i pazienti avrebbero una vita migliore e l’industria sarebbe ricompensata per la ricerca. Se lo facciamo, gli investimenti arriveranno. Ma se non rendiamo disponibili i farmaci, se continuiamo a perseguire solo prezzi bassi mentre arrivano prodotti cinesi di qualità, allora diventa tutto più complicato. Crede che l’Europa sarà mai in grado di competere con la Cina, per esempio, sui prezzi di produzione delle auto elettriche?».

In sostanza, la sua idea è di alzare le soglia di aumenti di prezzo dei farmaci…

«Be’, l’aumento medio della spesa farmaceutica in Europa è del 2% o 3%. Dovrebbe essere fra il 6% e l’8%. Questo delta consente di rendere disponibile un nuovo farmaco per il cancro al seno o un nuovo farmaco per la fibrosi cistica. Così un’azienda dovrebbe competere per ottenere il migliore livello scientifico. Dobbiamo sapere che se abbiamo una scienza eccellente, essa otterrà il suo premio. Non ci sarebbe bisogno di altro».

Pensa che la Cina stia lasciando indietro l’Europa anche nell’innovazione farmaceutica?

«L’’Europa dovrebbe valutare come incentivare le aziende che producono e innovano in Europa per mercato mondiale, perché sono un fattore positivo netto per il Pil. Vent’anni anni fa, un farmaco innovativo su due veniva dall’Europa. Ora sono due su sei. E l’anno scorso, per la prima volta, la Cina ha superato l’Europa per numero di articoli scientifici pubblicati su riviste di alto livello come Nature o Lancet. Vorrei solo che l’Europa facesse meglio, perché abbiamo gli scienziati, gli ospedali, i ricercatori, i dati, i pazienti. L’Europa ha tutti i fattori. L’unica cosa che ci frena è l’impegno nell’ accedere all’innovazione e ai finanziamenti. Investire in innovazione significa migliorare la vita dei pazienti e ricompensare l’industria, che a quel punto può reinvestire altra innovazione».

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