Novembre 29, 2023

Ddl Capitali, dal Mef stop alla quota del 49% per le liste di minoranza: come cambiano le misure

l’intervento

di Francesco Bertolino

Ddl Capitali, dal Mef stop alla quota del 49% per le liste di minoranza: come cambiano le misure

La tutela delle minoranze non può trasformarsi nella dittatura delle minoranze. Con questa convinzione il ministero dell’Economia si prepara a metter ordine nel disegno di legge Capitali e, in particolare, sulle due questioni più dibattute: la lista del consiglio di amministrazione e il voto multiplo.

Lo scopo del ddl Capitali

Nato su iniziativa del Tesoro per stimolare le quotazioni in Borsa e arrestare la fuga di aziende italiane verso l’Olanda, il provvedimento è diventato bersaglio in Parlamento del più classico degli assalti alla diligenza. Gli attacchi sono stati sferrati, a colpi di emendamenti e subemendamenti, da fronti contrapposti e non sempre rappresentativi dell’«interesse generale». Ne è scaturita una gran confusione che ha spaventato il mercato e spinto il Mef a intervenire con una nota perentoria.

La nota di Giorgetti

«Gli emendamenti al ddl Capitali relativi alle liste dei cda uscenti nelle società quotate non rispecchiano la posizione del ministro dell’Economia e la settimana prossima il governo farà una sintesi portando in commissione Finanze del Senato un parere sul tema che prescinderà dagli emendamenti e i subemendamenti finora presentati», ha rimarcato via XX Settembre. «L’obiettivo dell’esecutivo è di dare un segnale di affidabilità dell’Italia all’estero, ascoltando i timori degli investitori internazionali».

La lista del cda

La proposta di sintesi è allo studio in questi giorni e potrebbe in qualche misura ricalcare gli emendamenti presentati ieri dal leghista Massimo Garavaglia. Il Mef ritiene opportuno disciplinare l’istituto della lista presentata dal cda uscente per il rinnovo dei vertici delle società quotate, attribuendo per esempio un quinto dei consiglieri alla seconda lista che ottenga fino al 20% delle preferenze. Nulla osterebbe anche a che i candidati della lista del cda vincente siano poi votati singolarmente dall’assemblea, cosa che obbligherebbe a presentare elenchi doppi rispetto al numero di consiglieri da eleggere. La lista dovrebbe poi essere approvata da una maggioranza robusta del consiglio uscente, anche se la soglia dei quattro quinti dei consiglieri sancita da alcuni emendamenti viene considerata eccessiva.

I consiglieri per le minoranze

A oggi, comunque, il Tesoro ha soprattutto chiaro cosa il ddl Capitali non deve contenere: l’automatismo che assegna a il 49% dei posti in consiglio alla seconda lista nel caso quest’ultima ottenga anche un solo voto in più del 20%. Una norma simile avrebbe effetti dirompenti sugli equilibri di molte società quotate italiane e non solo di Generali e Mediobanca, terreno proprio in questi giorni di un duro scontro fra il management e gli azionisti forti, la Delfin dei Del Vecchio e il gruppo Caltagirone. Occorre quindi mantenere proporzionalità fra voti ottenuti e rappresentanza in cda, in ossequio al principio di democrazia societaria.

Il voto multiplo

La stessa preoccupazione riguarda il voto multiplo. Il Mef sarebbe in linea di massima favorevole al potenziamento del voto maggiorato nelle quotate, uno dei principali fattori di attrazione del diritto olandese. La riforma consentirebbe ai soci fedeli nel tempo di ottenere più voti per ciascuna azione — fino a 10 in alcune proposte — stabilizzando gli assetti proprietari. Il rafforzamento andrebbe però introdotto negli statuti delle società che desiderano adottarlo (opt-in). Da escludere invece che sia previsto per legge salvo esplicita esclusione nello statuto (opt-out), come avviene in Francia. Altrimenti, in ipotesi, fra qualche anno Vivendi potrebbe trovarsi con la maggioranza dei voti in Tim.

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