Sono in pochi a farci caso, anche tra gli stessi dipendenti dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Ma su una delle circonvallazioni che dalle porte di Genova instradano le vetture verso la collina di Morego campeggia un cartello con un microscopio. «Fu un caso — ricorda Alberto Diaspro uno degli scienziati storici dell’Iit, appena nominato Fellow of the European optical society — venne scelto da qualche funzionario solo perché il microscopio è uno dei loghi più tradizionali che rappresentano la ricerca scientifica». Eppure, nonostante l’Iit sia entrato nell’immaginario comune per la robotica, l’intelligenza artificiale, il supercalcolo, i nanomateriali, le scienze della vita e il grafene, quella scelta rimane visionaria.
Il microscopio venne citato in una lettera di Giovanni Faber, un accademico dei Lincei amico di Galileo Galilei, come «l’occhialino per vedere le cose minime». E cosa altro è diventato l’Iit in questi 20 anni se non un «occhialino» per vedere le potenzialità di tutte quelle tecnologie e scienze che l’Italia ha sempre minimizzato?
Nel Paese delle mille leggi, dei lacci e lacciuoli, dei campanili e delle invidie (come vedremo la storia dell’Iit non è riuscita sempre a trovare l’antidoto contro questi mali) in soli vent’anni Genova è riuscita a trasformare la collina dei modelli 740 degli italiani, in una collina di scienziati che vengono da tutto il mondo e hanno un’età incredibilmente bassa. A posteriori, volendo unire i puntini alla Steve Jobs, sembra quasi un segno del destino: quale migliore utilizzo delle tasse di noi italiani se non investendoli in scienza e dunque crescita economica e opportunità per i nostri figli?
Prima che la scelta cadesse sull’edificio del ministero dell’Economia che custodiva le dichiarazioni degli italiani in realtà si valutarono altri due posti simbolici di Genova: l’ospedale dei pazzi, come veniva chiamato nell’800 l’ex ospedale psichiatrico di Quarto, e i magazzini del cotone vicino al porto vecchio.
La scelta di Morego fu azzeccata perché velocizzò la nascita dei laboratori. Le start up sono un po’ come i missili che devono superare una velocità iniziale di almeno 25 mila km orari per battere la gravità. Altrimenti si torna a terra. Quella accelerazione iniziale affidata all’ex ricercatore del Max Planck, Roberto Cingolani — mente ed energia indiscussa della nascita dell’Iit — fu un’altra variabile fondamentale. Non a caso anche per lo Human Technopole, nato sul modello dell’Iit di Fondazione privata con soldi pubblici per non ingessare le assunzioni con i bandi, si optò per Palazzo Italia a Milano. L’Iit è di fatto un centro per bilanciare la fuoriuscita dei cervelli. Se tanti italiani decidono di andare, basta fare un salto in uno dei centri dell’istituto per poter parlare con indiani, cinesi, tedeschi, francesi, sudamericani.
Come è accaduto? Di certo le due parole chiave sono state libertà di movimento e ambizione. Sì, ambizione. Perché altrimenti qualcuno come Giorgio Metta, oggi direttore scientifico succeduto a Cingolani, avrebbe dovuto lasciare il Mit di Boston? L’Iit è stato un momento di rottura e per una volta l’Italia ha resistito alla tentazione di demolire ciò che aveva, in effetti, un difetto: essere una buona idea, ma di altre correnti politiche.
Nato con il governo Berlusconi del 2003 l’Iit aveva rischiato di non vedere mai la luce a causa di un progetto concorrente presente sul tavolo dell’esecutivo, una Accademia d’Italia sul modello francese, che avrebbe avuto tra l’altro il vantaggio politico di frenare, con un incarico di prestigio, una eventuale volata di Umberto Veronesi verso la poltrona di sindaco di Milano. Ma forse è anche questo che rende forti da adulti: una adolescenza difficile e competitiva.
Le persone chiave furono Vittorio Grilli, Gabriele Galateri di Genola e Cingolani. Il progetto aprì un varco nel talvolta statico e nebbioso mondo della ricerca attirando diverse menti brillanti.
Ma, dicevamo, non tutto è stato facile: come quando anni fa partì la campagna contro il tesoretto da un miliardo che l’Iit aveva in un conto del ministero dell’Economia.
Per affrancare l’Istituto dalle ingessature dell’Accademia la Fondazione aveva eluso il percorso canonico del ministero dell’Università e della Ricerca. Alla fine il conto corrente venne chiuso: unico caso in cui l’accusa è stata di non aver buttato via i soldi.
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21 set 2023
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