Novembre 29, 2023

Bonomi: «Superbonus? Se le risorse fossero andate all’industria, l’Italia adesso sarebbe più forte»

L’intervista

di Federico Fubini

Bonomi: «Se le risorse spese per il Superbonus fossero andate all’industria, l’Italia sarebbe più forte» Carlo Bonomi

Teme che le tensioni geopolitiche, con la rivalità fra Stati Uniti e Cina e fra il G7 e i Brics, indeboliscano l’export italiano?
«Il timore, c’è — risponde il presidente di Confindustria Carlo Bonomi —. Democrazia e libertà sembrano concetti astratti, ma nella realtà contano molto nelle relazioni internazionali e nello sviluppo economico. Nel mondo le democrazie piene sono 24. La quota di popolazione che vive in piena democrazia è minoritaria. E il quadro in questi anni è cambiato completamente, con il Covid, la guerra e l’avvio della rivalità sino-americana. Quello che mi preoccupa è che in Europa si sta cercando di dare risposte nazionali. È un grande errore».

Perché è un errore?
«È un’illusione pensare che qualcuno sia abbastanza forte da cavarsela da solo. L’anno scorso per la prima volta la Germania ha chiuso la sua bilancia commerciale con la Cina in rosso e noi italiani siamo nelle catene di fornitura tedesche. Adesso si parla di reshoring delle filiere strategiche e di quelle ad alto valore aggiunto. Più in generale, se la politica europea si orienta verso soluzioni nazionali alle sfide globali, se pensa solo ad allentare le maglie degli aiuti di Stato, i Paesi che come noi hanno poco spazio fiscale si trovano in difficoltà».

Ci diranno: avete speso 150 miliardi con i bonus immobiliari, affari vostri.
«È incredibile averli spesi senza una quantificazione ex ante un minimo realistica. Se ne avessimo usato una parte per rafforzare il nostro sistema industriale, il nostro potenziale produttivo e tecnologico, le prospettive di crescita sarebbero diverse. Dico solo che errare è umano, ma perseverare sarebbe diabolico».

È giusto uscire dalla Via della Seta offrendo alla Cina tecnologie nei microchip o nel settore navale?
«Sul piano commerciale il memorandum con la Cina nella sostanza non contiene nulla; anzi molti Paesi senza hanno ottenuto più di noi. Dunque è giusto che il governo si proponga di riequilibrare, ma cancellando l’equivoco politico che faceva sembrare l’Italia parte delle politiche di potenza cinesi. Ora bisogna solo evitare di uscire dall’accordo esponendoci a ritorsioni. Mi sembra sia la strada che il governo persegue».

Dalla farmaceutica all’aerospazio, dalle batterie ai semiconduttori, l’Europa è in ritardo su Stati Uniti e Cina in tutte le tecnologie di frontiera. E l’Italia è spesso in ritardo sull’Europa.
«Condivido l’analisi. L’Inflation reduction act di Joe Biden e il piano China 2025 sono una sfida sulla competitività. E la stiamo perdendo. Le due superpotenze investono migliaia di miliardi di dollari e noi restiamo senza fondi europei per rispondere sui temi fondamentali nei quali è illusorio fare competitività senza dotazione finanziaria. Se continuiamo ad andare avanti per vie nazionali, spacchiamo il mercato unico e perdiamo le economie di scala. Gli effetti si vedranno tra anni, ma gli errori si fanno adesso».

Se vogliamo più fondi europei, dobbiamo accettare più controlli e più governo dall’Ue. In Italia siamo pronti?
«La vera riflessione dovrebbe riguardare il bilancio europeo. Perché cresca devono esserci più entrate comuni europee. Si deve pensare all’emissione di bond europei, coperti per esempio dai proventi della Carbon adjustment border tax o della Global minimum tax sulle multinazionali».

Non sono gli elettori che chiedono di essere protetti nella dimensione nazionale?
«Siamo come i polli di Renzo. Invece di essere protagonisti dell’innovazione mondiale, stiamo diventando sudditi. Poi quando la crisi diventerà tangibile, sarà sempre facile dire che è colpa dell’Europa».

Ha senso pensare al patto di Stabilità europeo senza tenere conto di questa corsa alle tecnologie?
«Ai Paesi molto indebitati un quadro di regole serve, per far sì che i mercati restino tranquilli. Ma se vogliamo agganciare le grandi transizioni, servono fondi federali e serve liberare risorse anche a livello nazionale sui beni comuni. Quote rilevanti di incentivi agli investimenti a tal fine — investimenti, non spesa corrente — vanno sottratti al conto che rileva per il deficit annuale. Controllando bene che nessuno faccia trucchi».

Le sanzioni alla Russia funzionano?
«Ciò che avviene era scontato. Le sanzioni efficaci sono sull’operatività della banca centrale russa. Le sanzioni all’export non hanno mai prodotto grandi risultati perché i sanzionati godono spesso della disponibilità di molti Paesi ad operare triangolazioni. E poi c’è un grande tema: negli ultimi anni il G7 ha trascurato il dialogo con i Brics e il G20. Ma oggi il governo italiano ha un’occasione d’oro, l’anno prossimo avrà la presidenza del G7. E’ l’opportunità per coinvolgere i Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente, per portare l’India in una sorta di G8, per avviare una riflessione sulle sanzioni. Il G7 non dev’essere più la torre d’avorio dei Paesi ricchi».

Iscriviti alle newsletter di L’Economia

Whatever it Takes di Federico Fubini
Le sfide per l’economia e i mercati in un mondo instabile

Europe Matters di Francesca Basso e Viviana Mazza
L’Europa, gli Stati Uniti e l’Italia che contano, con le innovazioni e le decisioni importanti, ma anche le piccole storie di rilievo

One More Thing di Massimo Sideri
Dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)

E non dimenticare le newsletter
L’Economia Opinioni e L’Economia Ore 18

16 set 2023

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, L’articolo originale è stato pubblicato da, https://www.corriere.it/economia/aziende/23_settembre_16/carlo-bonomi-intervista-eba44780-5404-11ee-8884-717525326594.shtml, Economia, http://xml2.corriereobjects.it/rss/economia.xml, Federico Fubini,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *