Novembre 29, 2023

India boom, dagli investimenti occidentali al petrolio russo: ora la Cina la teme il sorpasso

India boom, dal petrolio russo agli investimenti occidentali: ora la Cina la teme il sorpasso

Forse dovremo abituarci a chiamarla Bharat, è questo il nome più antico dell’India in hindi e in sanscrito; così vorrebbe il suo premier Narendra Modi, il cui partito nazionalista Bharatiya Janata aderisce alla denominazione ancestrale. Ma facendo da padrona di casa dell’ultimo G-20, l’India ha dimostrato di poter coniugare il nazionalismo con una nuova vocazione globale. È l’unico Paese di queste dimensioni e importanza che in una fase segnata da tensioni geopolitiche riesce a «navigare» tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud del pianeta.

E da questa collocazione opportunistica cerca di estrarre il massimo beneficio: comprando energie fossili a prezzi stracciati dalla Russia (che non sanziona), e attirando investimenti occidentali in cerca di alternative alla Cina. Un capolavoro di equilibrismo, che consacra Modi come una star del momento. Corteggiato da Vladimir Putin ma invitato con i massimi onori da Joe Biden alla Casa Bianca; rispettato dal Grande Sud globale come un leader degli emergenti. Solo con la Cina i rapporti continuano ad essere improntati dalla diffidenza, sottolineata dalla decisione di Xi Jinping di non partecipare al G-20 sotto la presidenza indiana. A parte gli annosi (e talvolta cruenti) contenziosi territoriali, tra le due superpotenze asiatiche c’è una evidente competizione. Nel club dei Brics, di cui sono i due membri più importanti, l’India si profila come un modello alternativo rispetto alla posizione anti-americana della Cina. Modi fa il pieno di critiche in Occidente per l’ideologia nazionalista indù; non brilla per tolleranza verso le minoranze.

Le ragioni del successo

Però New Delhi resta una democrazia, conserva una libera stampa e una magistratura indipendente, oltre che il federalismo come antidoto alle tentazioni accentratrici. Nel 2023, con il suo più 7% supera la crescita del Pil cinese. Molte imprese occidentali stanno spostando almeno una parte dei loro investimenti verso l’India, per cautelarsi dai rischi geopolitici di una Cina sempre più ostile. Modi è un originale nei Brics per la sua equidistanza dai due blocchi: non applica sanzioni alla Russia ma rafforza i rapporti (anche militari) con l’America.

È da un ventennio ormai che si sente parlare — a cicli ricorrenti — di un sorpasso India-Cina. Quello demografico è diventato realtà da alcuni mesi. In economia invece i ritardi dell’India restano enormi, causati da numerosi fattori: primeggiano una burocrazia corrotta e oppressiva, infrastrutture inadeguate, una produzione di energia insufficiente. In compenso l’India può contare su risorse che alla Cina scarseggiano: la giovane età della forza lavoro, la diffusione della lingua inglese e, nel contesto geopolitico più recente, il pregiudizio favorevole degli investitori occidentali. Da quando la segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen ha lanciato lo slogan del friend-shoring, cioè le rilocalizzazioni in Paesi amici, la speranza indiana è un po’ più vicina alla realtà. Non tanto il sogno di rivaleggiare con la Cina al punto di sostituirla nel ruolo di «fabbrica del pianeta», che al momento appare irrealistico o quantomeno prematuro. Più modestamente, è la speranza di diventare comunque una potenza industriale, soprattutto nell’elettronica, con un peso ragguardevole come esportatrice verso il resto del mondo. È un progetto caro a Modi, e simile al percorso seguito in precedenza da tante altre tigri asiatiche.

Il modello indiano

I dati dicono che l’India ce la sta facendo. Nel corso degli ultimi otto anni la sua produzione elettronica è quasi quadruplicata e ha raggiunto quota 105 miliardi di dollari. L’industria elettronica è il settore su cui punta Modi per la transizione farm-to-factory, dai campi alle fabbriche. In alcune proiezioni usate dal governo di New Delhi, il 60% dell’esodo di manodopera dall’agricoltura dovrebbe essere assorbito proprio dall’industria elettronica. È appunto un remake di quel che accadde, in tempi e dimensioni diverse, in un elenco di Paesi asiatici che vanno dal Giappone alla Corea del Sud e da Taiwan alla stessa Repubblica Popolare cinese.

Nel «Make in India campaign» di Modi un ruolo propulsore lo svolgono gli investimenti esteri. Il primo Paese di origine dei capitali stranieri investiti nell’elettronica indiana è Singapore: questo può anche nascondere una quota di investimenti cinesi visto che Singapore ospita molte società d’investimento trasferite da capitalisti cinesi che vi hanno eletto residenza negli ultimi anni. Il secondo investitore straniero sono gli Stati Uniti. Un esempio classico d’investitore americano è Apple, che sta aumentando la quota di produzione realizzata sul territorio indiano. Apple è un caso interessante perché mobilita una serie di partner che vanno dalla straniera Foxconn (Taiwan) al colosso nazionale Tata. Il governo Modi ha una preferenza per le joint-venture tra aziende straniere e partner locali, però è sempre più aperto al ruolo diretto delle multinazionali estere. Comprese quelle cinesi, che non mancano.

L’India è diventata una delle tappe obbligate nel nuovo processo di diversificazione, ri-globalizzazione, friend-shoring. È un cambiamento influenzato da criteri geopolitici — ridurre l’eccessiva esposizione al rischio di conflitti tra l’Occidente e la Cina — ma non solo. C’è anche la crescente attrattiva dell’India come mercato interno: un ingrediente che ricorda la Cina agli albori del suo boom trent’anni fa.

Un fattore che gli investitori stranieri devono prendere in considerazione è il federalismo “spinto” dell’India. Si applica anche alla politica industriale. Ci sono Stati indiani molto attivi nel fornire incentivi e agevolazioni per attirare le imprese straniere sul loro territorio (Karnataka, Tamil Nadu, Maharashtra, Gujarat) ed altri che invece mantengono un orientamento di tipo socialista e difendono normative molto protettive per la manodopera, che alzano i costi di produzione. Sull’annoso ostacolo rappresentato dalla perversa burocrazia indiana, Modi ha cercato di intervenire con iniziative pro-business collegate al suo Production-Linked Incentive.

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15 set 2023

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