Settembre 23, 2023

«Superbonus, una truffa»: cosa ha detto davvero la premier Meloni e come cambierà lo sgravio

«Superbonus, una truffa»: cosa ha detto davvero la premier Meloni e come cambierà lo sgravio

Superbonus 110. Il numero non indica solo la percentuale di sconto riconosciuta ai contribuenti che effettuano particolari lavori di efficientamento energetico, ma rischia anche di segnalare l’ammontare in miliardi della spesa per lo Stato. Troppo pessimismo? Forse no: la stima è resa possibile dalla lettura dei dati sull’utilizzo all’agevolazione elaborati dall’Enea. A fine luglio la spesa certa per l’Erario ha toccato 74,2 miliardi, relativi a lavori già conclusi e se a questi si aggiungono le cifre per interventi per cui sia stata presentata almeno un’asseverazione relativa all’avanzamento dei lavori (il cosiddetto «Sal», possibile quando sia stato compiuto il 30 e il 60% delle opere) si arriva oltre 91 miliardi. E mancano i lavori già iniziati nei condomini e per cui non è ancora stato presentata un Sal, tutte le opere agevolate per consolidamento statico (Enea non rileva i dati del Superbonus “sisma”) e infine gli interventi che si compiranno sia pure con aliquote ridotte, nel 2024 e 2025. La previsione originaria di spesa era di 33,6 miliardi.

Le critiche alla misura e i benefici su Pil e tasse

Sono numeri che fanno capire perché il Superbonus sia la misura di finanza pubblica più discussa, osannata o denigrata, a seconda dell’opportunità politica, degli ultimi anni, ma forse entrambi gli opposti presentano una parte di verità. Da un lato il beneficio portato sul Pil è certo, anche se è eccessivo presentare il Superbonus come una sorta di campo dei miracoli di Pinocchio, dove gli zecchini si moltiplicano. Di sicuro però la misura, riguardando esclusivamente opere corredate da fattura, ha portato da subito nelle casse dello Stato Iva, Ires e Irpef e ha anche fatto risparmiare, se ricordiamo il momento in cui il Superbonus è stato lanciato, centinaia di milioni di euro di cassa integrazione. Ragioni per cui non appare corretto sostenere che l’agevolazione si sia rivelata una sorta di helicopter money, con una perdita secca per lo Stato.

Più motivata invece un’altra accusa: quella di essere una enorme redistribuzione regressiva di reddito a favore di pochi. Sempre dai dati Enea, infatti, apprendiamo che in totale a luglio avevano beneficiato dell’agevolazione 422 mila edifici, ovvero solo il 3,5% del totale nazionale e che i lavori su ogni casa indipendente è costa alle casse pubbliche ben oltre 100mila euro. Forse non era necessario pagare la ristrutturazione ai proprietari di seconde case che talvolta sono vere e proprie ville generosamente classificate A7 dal Catasto (le ville accatastate come A8 sono escluse dal bonus). All’epoca del varo del decreto si leggevano appelli strappalacrime perché si rendesse possibile ristrutturare le case degli emigrati nel paesello natio…

Fin dalle origini

Ma come si è arrivati a spendere più del triplo del previsto? Il peccato originale deriva dalla conversione in legge del decreto Rilancio del maggio 2020. La versione licenziata da Palazzo Chigi, dove sedeva Giuseppe Conte, limitava la durata dell’agevolazione al 31 dicembre 2021 ed escludeva le seconde case non in condominio. In sede di conversione il paletto delle seconde case è saltato e poi nel tempo si proceduto a ulteriori proroghe dei termini escludendo però dal 2022 le seconde case non in condominio, salvo casi particolari. Secondo errore, la misura abnorme dell’agevolazione. Il successore di Conte, Mario Draghi, non ha mai fatto mistero di non amare il Superbonus e senza ricorrere a giri di parole a suo tempo ne ha spiegato anche il perché: se si riprende indietro più di quanto si è pagato non c’è nessun vantaggio a trattare sul prezzo. Così la mancanza di conflitto di interessi tra committente e impresa, il fortissimo aumento della domanda e anche l’escalation dei costi dei materiali per cui le imprese non hanno colpe ha portato alla lievitazione della spesa.

Polemiche e «truffe» (e il peso del bonus facciate)

Sta suscitando polemiche la dichiarazione di Giorgia Meloni, secondo la quale con i bonus «si è consentita la più grande truffa ai danni dello Stato», quantificando il danno erariale il 12 miliardi di euro. In realtà l’ammontare delle truffe direttamente ascrivibile al Superbonus ammonterebbe a meno dello 0,5% dei fondi erogati, perché comunque le spese sono certificate e non ha nessun senso per una banca (il soggetto verso cui tipicamente il credito fiscale finisce per confluire) rischiare soldi e reputazione saltando le verifiche.
Il problema vero, e torniamo alla formulazione originaria del decreto Rilancio, lo ha creato il «bonus facciate». L’agevolazione, introdotta dalla legge di Bilancio 2020, consentiva di ottenere un rimborso fiscale del 90% in dieci anni sulle spese per la riqualificazione dell’aspetto fronte strada degli edifici residenziali nei centri abitati, senza tetto di spesa e senza verifiche sull’effettivo svolgimento dei lavori. I guai sono venuti pochi mesi dopo, quando il decreto Rilancio ha esteso a tutti i bonus la possibilità di fruire dello sconto in fattura e della cessione del credito. Sono state così richieste detrazioni fiscali da società di comodo per lavori mai effettuati e con fatture fittizie pari al 10% dell’importo dei lavori, ottenendo da subito il credito fiscale per intero, subito ceduto in cambio di contanti. Ovviamente le società che hanno operato così sono sparite nel nulla.

La preoccupazione per il futuro: che fine farà il Superbonus

Le dichiarazioni della presidente del Consiglio sono comunque destinate a creare non poca preoccupazione a chi ha in corso i lavori. A esempio, se nella legge di Bilancio non verranno destinate risorse supplementari al Superbonus (da trovare non si sa bene dove a questo punto), i condòmini che non avranno completato le opere entro il 31 dicembre prossimo vedranno l’agevolazione per la parte non ancora agevolata scendere al 70%, con un esborso suppletivo misurabile in decine di migliaia di euro per opere che dovevano in origine compiersi gratuitamente, anzi con un piccolo guadagno. Per chi invece non abbia ancora cominciato i lavori, in attesa del riordino complessivo del sistema dei bonus edilizi, le alternative non mancano. Per i lavori di maggiore impegno finanziario bisogna comunque fare i conti con il fatto che rimane a carino una quota importante della spesa e che non è più possibile cedere il credito, salvo per le opere finalizzate all’abbattimento delle barriere architettoniche e agevolate dall’apposito bonus.

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29 ago 2023

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