extra profitti delle banche
Giavazzi: «La tassa sugli extraprofitti delle banche è un autogol del governo, si rischia lo stop all’acquisto di titoli di Stato»
di Giuliana Ferraino
«Una tassa sbagliata tecnicamente, perché distorce l’allocazione del credito, e dal punto di vista della comunicazione, poco rispettosa degli investitori internazionali, di cui abbiamo bisogno come il pane», afferma Francesco Giavazzi, professore di economia all’Università Bocconi e consigliere economico del presidente del Consiglio durante il governo di Mario Draghi. Ecco perché definisce la nuova tassa sugli extra profitti della banche, varata lunedì dal Consiglio dei ministri, «un errore da bocciatura all’esame di economia».
Spiega: «Il governo non impone una tassa sui profitti totali di una banca, ma soltanto sul margine di interesse, cioè la differenza tra interessi attivi e passivi. La tassa non tocca le altre attività, per esempio il contributo ai profitti delle commissioni che le banche fanno pagare quando vendono fondi o polizze. Questo è il primo effetto di questa distorsione è che sposterà le banche verso attività diverse dal margine di interesse».
E questo rischia di produrre un effetto pericoloso per i conti dello Stato: «L’investimento in Btp fa parte del margine di interesse, quindi per gli istituti di credito sarà meno conveniente investire in titoli di Stato, la cui domanda scenderà proprio nel momento in cui vengono meno gli acquisti da parte della Bce. E’ un autogol!», valuta Giavazzi.
Questo il giudizio «tecnico», poi c’è una valutazione «politica». «Questa tassa è un provvedimento dal quale traspare una visione sovranista dello Stato. E’ come se avessero detto: io sono il sovrano e il sovrano tassa chi vuole, senza preoccuparsi degli effetti sull’economia. Se l’ economia, cioè tutti i cittadini, ne soffrono questo non è un mio problema».
Fuor di metafora, la tassa potrebbe ritorcersi contro il governo, penalizzando l’economia. «La domande dei prestiti sta già frenando e le banche potrebbero avere interesse ad assecondare questa frenata spostandosi dai prestiti verso le commissioni sui servizi bancari, magari introducendone di nuove. Le commissioni infatti sono escluse dalle attività soggette alla tassa, con l’effetto di far rincarare ancora di più il costo del denaro. Ma, soprattutto, distorce l’economia», insiste il docente, mentre «le tasse non dovrebbero fare una distinzione sull’origine dei profitti. È come se il governo tassasse la Barilla solo sui profitti derivati dagli spaghetti, ma non dai rigatoni. Perciò la Barilla potrebbe decidere di non produrre più spaghetti ma solo rigatoni. Il governo può decidere di tassare la Barilla perché pensa che faccia troppi profitti, ma non può indurla a ridurre la produzione di spaghetti. Non è il suo mestiere».
E poi c’è «il colpo alla credibilità del Paese: un investitore internazionale che acquisti azioni di Banca Intesa non si aspetta di perdere il 10% in una notte solo perché un governo si è svegliato ‘”frizzantino”».
Infine, «i provvedimenti vanno spiegati al mercato. Un investitore internazionale si aspetta che la misura sia spiegata dal ministro responsabile, cioè quello dell’Economia, non, come è accaduto, da quello preposto ai ponti. Un ministro dell’Economia che non si presenta in conferenza stampa in un’ occasione come questa dà un’immagine pessima del Paese».
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08 ago 2023
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