politica fiscale
di Nicola Bracci
Dalla tassa sugli extraprofitti delle banche a quella dedicata al settore energetico, l’elemento comune potrebbe rintracciarsi in quello che anche la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha menzionato come un preoccupante fenomeno da tenere sotto osservazione: la greedflation («inflazione da avidità»). Vale a dire il tentativo di alcune imprese di trarre un ingiustificato vantaggio economico dagli effetti dell’inflazione. In un’indagine Oxfam – Action Aid pubblicata un mese fa si mette nero su bianco che: «Negli ultimi due anni 722 tra le più grandi imprese del mondo hanno realizzato, in media, quasi 1.000 miliardi di dollari di extraprofitti all’anno, mentre i prezzi di beni di consumo, cibo ed energia schizzavano alle stelle assieme ai tassi di interesse». Poi, che a spingere il carovita siano i rincari energetici o l’aumento del costo stesso del denaro, il risultato è simile: individui e piccole aziende stringono la cinghia, mentre pochi grandi realtà moltiplicano i propri utili.
Nella primavera dello scorso anno il governo Draghi apponeva per legge un limite agli ingenti guadagni delle compagnie energetiche, gonfiati dal balzo dei prezzi nel comparto subito dopo l’avvio del conflitto ucraino. Una misura concepita per tamponare il caro-bollette a beneficio di famiglie e imprese, ma destinata a produrre effetti piuttosto limitati.
Il caso degli extraprofitti energetici
In Italia la proposta di tassare gli extraprofitti delle banche – emersa e approvata lunedì sera al termine dell’ultimo cdm convocato prima della sosta estiva – ha dunque, con le debite distinzioni, un precedente recente. La misura rivolta alle società energetiche, varata nell’ambito del primo decreto aiuti quando le quotazioni del gas superavano quota 300 euro al megawattora, si traduceva in una aliquota del 10%, poi ritoccata al 25%, da applicare non ai profitti (come nel caso del settore bancario) ma sul maggior margine imponibile Iva realizzato tra ottobre 2021 e marzo 2022. A condizione che, nel confronto col semestre ottobre 2020 – marzo 2021, il guadagno maturato fosse pari ad almeno il 10% e superiore a 5 milioni di euro.
La norma, ereditata e rafforzata dal governo Meloni, avrebbe dovuto generare un gettito di 11 miliardi di euro ma, come certificato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che si è esposto nel corso di un question time ad aprile scorso: «Il gettito dei versamenti effettuati da circa 220 soggetti è stato pari nel 2022 a 2.70,49 miliardi di euro». Un messaggio che è stato ribadito a stretto giro anche da Maurizio Leo, viceministro con delega alle finanze: «Purtroppo il meccanismo degli extraprofitti basato sui flussi Iva non ha colto nel segno – ammetteva in audizione a inizio maggio – rispetto agli 11 miliardi attesi ne abbiamo incassati solo 2,8».
Il precedente della “Robin Tax” incostituzionale
E fu sempre un governo di centrodestra, guidato da Silvio Berlusconi, che quindici anni fa, appena dopo l’insediamento, presentò la cosiddetta Robin Hood Tax, con la chiara allusione a una volontà di ridistribuire le ricchezze accumulatesi nelle mani di poche e influenti realtà del comparto energetico: un insieme di provvedimenti fiscali promossi dall’allora ministro dell’Economia , Giulio Tremonti, con l’obiettivo (tra gli altri) di intervenire nel settore del petrolio, dell’energia e del gas, con un’addizionale all’Ires (Imposta sul reddito) del 5,5% che sostanzialmente annullava una precedente riduzione all’aliquota di tale imposta. In quel caso, la maggiorazione si applicava non propriamente agli extraprofitti ma a tutti gli utili delle imprese del settore che avessero registrato ricavi maggiori di 25 milioni di euro nell’anno precedente.
La misura garantì nel biennio 2011-2012 un gettito stimato di circa 2,8 miliardi di euro. Un prelievo che, secondo la sentenza della Corte Costituzionale che nel 2015 dichiarò incostituzionale la norma, finiva per avere un impatto sull’intero reddito prodotto dalle imprese e non soltanto sugli extraprofitti. All’epoca, quella bocciatura della Consulta finì per aprire una falla di circa un miliardo di euro nei conti pubblici.
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L’Economia Opinioni e L’Economia Ore 18
09 ago 2023
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