Il ministro Giancarlo Giorgetti e il presidente Abi Antonio Patuelli
Un incubo di una notte di mezza estate. Come ha suggerito qualche analista, le cifre dell’extra-tassa che ballano sugli utili stanno agitando i banchieri italiani. Anche se una nota del Mef ieri sera ha precisato un tetto massimo per il contributo: lo 0,1% dell’attivo di ciascun istituto creditizio in Italia, una somma che starebbe sotto i 3 miliardi. Tutti trincerati dietro un «no comment», in realtà sono perplessi e irritati.
Perplessi perché la legge risulta ancora non chiara da comprendere. Irritati perché non è arrivata alcuna comunicazione preventiva su una decisione che nessuno si aspettava. Anche l’Abi, l’associazione delle banche, sceglie di non parlare, ma sta mettendo in calendario un comitato di presidenza per i prossimi giorni.
A rompere il silenzio sono pochi, i più piccoli, come Mario Alberto Pedranzini, numero uno di Banca Popolare di Sondrio, che riassume così le preoccupazioni del settore: «Siamo stati colti di sorpresa e restiamo in attesa della pubblicazione del decreto, al fine di valutarne gli effetti sul bilancio della banca». Cauto anche Angelo Campani, dg di Credem: «Attendiamo il testo del provvedimento che studieremo nelle prossime settimane per analizzarne gli impatti».
Si capisce la loro preoccupazione: a differenza dei cinque big del settore, che hanno ricavi diversificati (e che nei primi sei mesi dell’anno hanno registrato profitti per oltre 10,5 miliardi di euro, oltre il doppio di quelli del 2022), i risultati delle piccole banche arrivano tutti dai margini di interesse, quindi sarebbero le più colpite.
Pure i sindacati stanno alla finestra: «La Fabi sta valutando l’impatto sul settore bancario e sui singoli gruppi bancari della nuova tassa sugli extraprofitti annunciata dal governo. Il segretario generale, Lando Maria Sileoni, sta seguendo la vicenda, e appena sarà tutto più chiaro, a iniziare dai contenuti del decreto, farà conoscere la posizione dell’organizzazione» fa sapere un portavoce della federazione autonoma. Per la Uilca le banche italiane sono solide , ma si chiede di non far pagare il prezzo ai lavoratori. A fine luglio infatti i nostri istituti di credito avevano superato a pieni voti gli stress test di Eba e Bce, finendo nella «parte buona della lavagna» del credito europeo grazie ai solidi punteggi della loro patrimonializzazione.
All’estero per altro l’extra-prelievo è già realtà. La Spagna è stata la prima a muoversi a chiedere alle banche e alle utility di fare la loro parte introducendo una tassa sui super utili. A febbraio è stata pagata la prima tranche e le grandi banche spagnole hanno finora pagato 637,1 milioni di euro (complessivamente il Governo di Sanchez ha raccolto 1,45 miliardi di euro). Il ministero delle Finanze spagnolo ha previsto che l’incasso annuale delle due imposte temporanee (applicabili nel 2023 e 2024) supererà i 2,9 miliardi di euro, tassando rispettivamente il margine di intermediazione e il reddito da attività non regolamentate in Spagna. Al Banco Santander era costata il 10% dei profitti del primo trimestre. Anche nel Regno Unito l’ipotesi di una tassa sugli extra profitti è allo studio dopo che le banche sono state accusate di «affarismo» e lo scorso mese, il regolatore finanziario ha chiesto alle banche di accelerare gli sforzi per migliorare l’accesso alle loro migliori tariffe di risparmio. In Lituania il prelievo del 60% sulla parte di reddito netto da interessi che supera del 50% la media dei quattro anni precedenti dovrebbe portare allo Stato 410 milioni di euro. Qualcuno però fa notare che, nell’attesa di capire la cifra esatta del prelievo italiano, ieri Piazza Affari ha polverizzato oltre 9 miliardi.
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09 ago 2023
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