whatever it takes
di Federico Fubini
Le ultime settimane fanno registrare un’ondata di critiche alla Banca centrale europea che, con l’aumento dei tassi d’interesse, metterebbe in difficoltà un gran numero di famiglie in Italia che hanno mutui a tasso variabile. Non voglio discutere qui se la Bce abbia avuto o no ragione di alzare i tassi d’interesse da zero al 4% in undici mesi. Ricordo solo che in questi undici mesi l’inflazione in Italia è salita fino quasi al 12% ed è ancora sopra al 6%: livelli sufficienti a spazzare via il risparmio del ceto medio, se mantenuti per qualche anno. La questione adesso è un’altra. Warren Buffett notoriamente dice che, quando cala la marea, scopriamo chi stava nuotando senza costume. Ma quella è una metafora adatta all’Atlantico. In Italia, quando cala la marea, scopriamo chi stava nuotando senza costume ma non se n’era accorto; poi scopriamo chi aveva venduto ad altri costumi dall’elastico difettoso attorno alla cintura; e infine scopriamo chi cerca di costruire una carriera politico-mediatica sui problemi che ne risultano.
Il «caso Italia»
Fuor di metafora, l’aumento dei tassi sta facendo affiorare una serie di questioni tipiche del Paese. La più evidente riguarda il ritorno degli arruffapopolo che cercano di guadagnare punti sul disagio di tante famiglie: di qui le critiche alla Bce e il rincorrersi di dati a effetto sugli italiani che non riuscirebbero più a pagare le rate in banca. Dietro le polemiche ci sono delle esagerazioni, ma anche fragilità storiche, comportamenti non sempre corretti delle banche italiane verso i loro clienti e alcuni problemi reali. Vediamo. Le famiglie italiane, si sa, sono poco indebitate e spesso proprietarie di appartamenti. Fra i Paesi dell’Unione europea, solo in Romania, Grecia e Slovenia si stima una quota più bassa di privati con un mutuo per la casa. Da noi in questa situazione si trovano circa 2,8 milioni di famiglie ma – anche se non esistono dati ufficiali – si può calcolare dai dati di Banca d’Italia che almeno un milione di famiglie, con circa due milioni e mezzo di residenti, abbia un mutuo a tasso variabile. Quest’ultima popolazione oggi è vulnerabile all’aumento dei tassi e ad essa vanno aggiunte alcune centinaia di migliaia di famiglie – spesso a basso reddito – che hanno preso piccoli prestiti ad alto interesse per spese come il dentista o un elettrodomestico.
Il nodo dei variabili
I mutui immobiliari in Italia valgono 424 miliardi di euro, di cui quelli a tasso variabile probabilmente 157 miliardi (dunque con un debito medio un po’ sopra ai 150 mila euro per le famiglie soggette al tasso variabile). In più ci sono debiti per 117 miliardi di cosiddetto “credito al consumo”, spesso per persone che non riescono ad affrontare una spesa imprevista. In teoria non è molto. Non in un Paese dove il reddito disponibile delle famiglie supera i 1.100 miliardi. In sostanza tutti i debiti delle famiglie sono pari a due terzi dei redditi che entrano loro nelle tasche in un anno. Ma, direbbe Trilussa, chi sta iniziando a soffrire non sa cosa farsene delle medie. Poiché il tasso iniziale di chi ha preso un mutuo variabile tre anni fa era dell’1,2%, in Italia ci sono famiglie che hanno visto la rata crescere del 30% o più. Per gli speculatori sulle difficoltà altrui e gli eterni cacciatori di consenso, esiste un mercato elettorale aggredibile di circa due milioni di elettori oggi percorsi da paure, rabbia, insicurezze. Vediamo infatti che la caccia grossa è già iniziata. E prende la forma di attacchi continui alla Bce o di un uso allarmistico e spesso fuorviante dei numeri.
Vale la pena mantenere la testa fredda e ricordare i dati pubblici più recenti, riferiti ad aprile scorso: i prestiti in sofferenza delle famiglie valevano 9,3 miliardi, il dato più basso degli ultimi dodici anni, quasi un terzo meno di un anno e mezzo fa e quattro volte meno dei picchi raggiunti nel 2015. Ma, appunto, non nascondiamoci dietro le medie: per tante famiglie il problema dei mutui esiste, eccome, solo che non è quello raccontato dagli arruffapopolo.
I cicli economici e il ruolo delle banche
Il grafico qui sopra viene dal Rapporto sulla stabilità finanziaria di fine 2019 della Banca d’Italia e mostra in verde la quota di nuovi mutui a tasso fisso accesi negli ultimi anni sul totale dei mutui immobiliari (dunque, per sottrazione, rivela anche la percentuale a tasso variabile). La linea tratteggiata invece mostra la percentuale di mutui casa a tasso fisso e variabile in termini di volumi di prestiti esistenti. Prima spia rossa: ancora a fine 2019, dopo sette anni di tassi a zero o quasi della Bce, la maggior parte delle masse di mutui-casa era ancora a tasso variabile. Perché è strano? Ora, in Italia i tassi bancari sui mutui sono veramente crollati – diciamo – fra il 2014 e il 2015, grazie all’uscita della crisi dell’euro dopo il “Whatever it takes” (quello vero) di Mario Draghi e poi con gli acquisti di titoli di Stato, il “quantitative easing”. Il tasso variabile allo sportello era al 5% nel 2012 ed era già sceso poco sopra al 2% nel 2015. Intanto la Bce aveva portato i tassi letteralmente a zero dal 2015, dunque non aveva più molti strumenti per farvi avere mutui ancora più a buon mercato. Poiché un prestito per la casa dura di solito dieci-quindici anni o più, dunque attraversa vari cicli economici, il calcolo delle probabilità era evidente: era dall’inizio verosimile che durante la vita del vostro mutuo la Bce avrebbe mosso i tassi di più verso l’alto, piuttosto che di più verso il basso (essendo difficile portare i tassi molto sotto allo zero). C’era molto più spazio per rendere il credito più caro, che per renderlo meno caro. E c’era un’evidente asimmetria delle probabilità fra i due scenari. Un operatore razionale nella seconda metà dello scorso decennio avrebbe dovuto blindare a suo favore i tassi bassi a livelli da record di quel momento, prendendo un mutuo a tasso fisso. Non avrebbe dovuto farsi accecare dal fatto che i mutui variabili in quel momento erano ancora meno cari. Scegliere questi ultimi offriva infatti un piccolo risparmio nel breve periodo ma esponeva a grosse perdite al primo cambio di stagione, come si è visto di recente. E un consulente bancario onesto, professionale, attento agli interessi del cliente e capace di capirne i limiti di cultura finanziaria avrebbe dovuto spiegare. Doveva far capire i rischi di un mutuo a tasso variabile, quando i tassi della Bce sono a zero e dunque in futuro possono (quasi) solo salire.
L’alfabetizzazione finanziaria e la fiducia
Invece cos’è successo? Il grafico sopra ci dice che per tutta la metà dello scorso decennio circa il 40% dei nuovi mutui – ora poco più, ora poco meno – è stato acceso a tasso variabile, quando i tassi erano già ai minimi e il rischio di netti aumenti in futuro era quantomeno plausibile. Alcune banche devono aver avuto un comportamento superficiale, quando non decisamente predatorio, verso certi clienti ignari. E non è la prima volta: alcuni hanno venduto a persone semplici mutui apparentemente più convenienti, proprio come anni prima avevano venduto bond bancari subordinati apparentemente più convenienti. Perché non viene spiegato allo sportello, abbastanza spesso, che a condizioni più convenienti corrisponde sempre un rischio più alto? Poi le ferite al rapporto fiduciario con le persone comuni e le praterie aperte ai soliti arruffapopolo hanno un costo molto più alto del lucrare sul singolo capofamiglia. Sì, lo so: ci sono le surroghe, cioè l’opzione per chiunque di passare dal tasso variabile al tasso fisso (o viceversa). Ma molti debitori poco addentro alle questioni finanziarie sono stati prevedibilmente colti di sorpresa, hanno reagito con lentezza e ora è tardi. E sì, lo so: adesso le banche offriranno ai clienti in difficoltà di spalmare in avanti nel tempo il rimborso di interessi o capitale. Ma si potrà fare solo a condizione che la spalmatura finisca per far pagare nel complesso qualcosa di più ai clienti, non quello che era stabilito nel contratto originario. Si litiga molto di questi tempi sui nuovi programmi della Rai e sui nuovi conduttori, di destra o di sinistra. Avrei io un candidato: un novello Maestro Manzi che proponga un “Non è mai troppo tardi” sull’alfabetizzazione di tutti in finanza familiare. Così magari ci risparmiamo il prossimo scandalo.
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10 lug 2023
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