Giugno 5, 2023

Golden power, poteri speciali extralarge: le scelte del governo

Che il governo Meloni intervenisse con la spada del golden power per condizionare un’importante acquisizione nel settore degli elettrodomestici anche il più smaliziato dei leader sindacali non se lo sarebbe mai aspettato. Eppure nel controverso Consiglio dei Ministri del Primo Maggio, oggetto di vivaci polemiche politiche per la scelta simbolica della data, è successo anche questo. Su indicazione del titolare del dicastero delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, la residente del Consiglio ha fatto approvare un Dpcm che entra dritto come un fuso nel merito dell’operazione che ha portato gli americani di Whirlpool a cedere le attività europee del bianco ai turchi di Arcelik. Il decreto fa esplicito riferimento alle competenze della legge sul golden power considerando per la prima volta «strategico» anche il settore degli elettrodomestici, autorizza l’operazione ma la vincola «a specifiche prescrizioni a salvaguardia del patrimonio tecnologico, della produzione e quindi dei livelli occupazionali, quali effetti di eventuali sovrapposizioni tra gli stabilimenti del nuovo gruppo». Non è poco.

E infatti dal sindacato — nonostante il contenzioso in corso con il governo sulle scelte di politica economica — è partito un applauso. «È una notizia positiva — dice Massimiliano Nobis, segretario nazionale Fim-Cisl —. Ed è frutto anche della pressione che in questi mesi abbiamo esercitato sul governo. Ora però chiediamo al ministro Urso un incontro urgente su come intende implementare la decisione presa. Non vogliamo creare false aspettative, meglio la chiarezza». In ballo per il sindacato c’è il futuro dei 4.700 addetti degli stabilimenti produttivi in Lombardia, Toscana e nelle Marche ma c’è anche in discussione la continuità di una cultura aziendale storica della manifattura italiana con le tradizioni varesotte dei Borghi e fabrianesi dei Merloni. Entrambi i gruppi infatti negli anni erano entrati a far parte di Whirlpool e ora sono davanti a un nuovo giro di boa.

Politiche e veti

Detto che sul merger Whirlpool-Arcelik (le quote finali saranno rispettivamente 25% e 75%) la parola decisiva spetta all’autorità Antitrust di Bruxelles che ha istruito il caso, la scelta del Dpcm del Primo Maggio smuove, e di parecchio, le acque. E in qualche maniera sarà vagliata indirettamente anche nella capitale belga perché storicamente le varie Commissioni Ue hanno contestato, in parte o del tutto, le leggi nazionali di golden share come quella adottata in Gran Bretagna e di action specifique promulgata in Francia. Come già detto è la prima volta che l’industria del bianco viene interessata da un provvedimento di questo tipo e poi, dettaglio non secondario, a vendere non è una società italiana ma una multinazionale yankee. Le novità non sono finite perché l’uso del golden power appare estensivo anche in un’altra direzione: mette dei paletti negoziali al merger e alle sue ricadute produttive/occupazionali e assomiglia così più a uno strumento di politica industriale contrattata che al puro e semplice esercizio di veto (come è stato usato nella stragrande maggioranza dei casi in Italia il golden power).

La prima legislazione in materia risale al 2012 con il governo Monti e i settori indicati erano cinque: difesa, sicurezza nazionale, energia, trasporti e comunicazioni. Nel 2017 il perimetro di intervento viene esteso ai settori «ad alta intensità tecnologica». Si arriva così al 2021 quando il governo Draghi inserisce anche l’alimentare, le assicurazioni, il settore sanitario e il finanziario. Vale la pena sottolineare come tra il 2012 e il 2021 fossero cambiate molte cose nel mondo e in qualche maniera se prima il golden power serviva a tutelare il patrimonio industriale italiano dai cugini e concorrenti occidentali, con gli anni Venti il predatore da fermare con il veto più secco alla fin fine si chiama Pechino. Sempre per continuare nel solco di una piccola e sommaria storia dei poteri speciali sarà utile ricordare che il primo caso di utilizzo è dell’ottobre del 2020 con il premier Giuseppe Conte che stoppa l’ingresso del fondo americano Kkr in FiberCop. Qualche mese dopo sarà invece Mario Draghi a far scattare il semaforo rosso per la vendita della Lpe, una piccola azienda lombarda di microchip, ai cinesi della Shenzhen Investment Holdings. Non ce ne sarà traccia formale negli annali ma il governo presieduto dall’ex presidente della Bce, usando solo la moral suasion, si oppone de facto anche alla vendita dell’Iveco ai cinesi della Faw. Arriviamo così al dicembre 2022 quando dopo l’invasione russa dell’Ucraina il governo Meloni rafforza la golden power per quanto riguarda il perimetro degli approvvigionamenti energetici.

Elettrodomestici

Torniamo agli elettrodomestici e chiediamoci se le preoccupazioni dei sindacalisti sono fondate. La risposta è affermativa perché il boccone Whirlpool è grosso e gli addetti ai lavori sospettano che lo sia anche troppo per Arcelik. In ballo infatti non c’è solo l’Italia, ma un perimetro di attività europee di 6 miliardi di fatturato, 24 milioni di pezzi, 20 mila dipendenti, 9 stabilimenti e marchi storici come Indesit, Hotpoint, Bauknecht e Hotpoint. Arcelik ha sede a Istanbul e fa capo per il 45% alla famiglia Koc. Con i grandi elettrodomestici americani la società turca fa un salto enorme, si europeizza definitivamente e dovrà chiarire le sue strategie di posizionamento. Finora si è caratterizzata — con successo, va detto — per un prodotto di fascia medio-bassa e per una competizione centrata quasi esclusivamente sul pezzo, una volta annessa Whirlpool cambierà passo? Se ne sa molto poco, anche se il ministro Urso ha incontrato i rappresentanti della società e i sindacalisti temono che il prodotto italiano perda di originalità e venga giocato al ribasso con un piano di eliminazione degli impianti o delle linee di produzione doppioni.

Il caso Wartsila

In un caso immediatamente precedente a quello Whirlpool lo stesso governo Meloni si era mosso imponendo prescrizioni (e non il mero veto) all’acquirente, il fondo cipriota Goi Energy. Sceso in campo per acquisire la raffineria Isab di Priolo che faceva capo alla russa Lukoil ma in quella circostanza non erano in discussione lavatrici, frigoriferi e lavastoviglie ma un prevalente interesse geopolitico legato all’evoluzione del conflitto nell’Est Europa e ai legami finanziari dei ciprioti. E infatti prima delle garanzie sul mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali il governo ha imposto agli acquirenti la tracciabilità della provenienza delle forniture di petrolio. Commenta Roberto Benaglia, segretario generale della Fim-Cisl: «Non so dire se con il caso Arcelik ci troviamo di fronte a un cambiamento di pelle dello strumento golden power, però il governo afferma il principio secondo il quale lo Stato deve intervenire per preservare il patrimonio tecnologico e l’occupazione». Ma allora è legittimo chiedersi: siamo nel campo di politiche industriali di nuovo conio o dell’esercizio dei poteri speciali? E in altri casi analoghi, prendiamo la vertenza della Wartsila di Trieste, con la proprietà finlandese che ha deciso di chiudere il sito il governo sarebbe disposto ad usare di nuovo il golden power? «La domanda è legittima — risponde Benaglia —. Per questo ci aspettiamo che venga definito per bene il suo utilizzo. Che comunque, sia chiaro, non può sostituire le genuine politiche industriali».

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