Clessidra guarda all’Europa. Vent’anni dopo essere stato fondato da Claudio Sposito, il fondo privato di investimento ha ampiamente superato la soglia del miliardo di euro di interventi (Aum) e progetta l’espansione estera da realizzare a partire dalla seconda metà del 2023. Da sette anni, dopo la scomparsa del fondatore, Clessidra è passata di mano: oggi è interamente controllata dalla holding Italmobiliare, guidata da Carlo Pesenti con il ruolo di consigliere delegato, mentre Federico Ghizzoni, già ceo di Unicredit, è presidente di Clessidra capital credit. Quando è cambiata la proprietà, Clessidra aveva all’attivo il fondo 2. Da allora è stato chiuso il fondo 3. Adesso è aperta la raccolta del fondo 4. Oggi, alle originarie attività di equity, si sono affiancate gli interventi sul debito e, più recentemente, nel settore del factoring, con una nuova società affidata a Gabriele Piccini, l’ex country manager per l’Italia nell’Unicredit targata Ghizzoni.

Numeri alla mano Clessidra vale oggi circa 300 milioni di investimenti nel distressed, è in fase di raccolta il fondo di Private debt (raggiunto il primo closing a 130 milioni ha un obiettivo a 250 milioni che si conta di raggiungere a breve), mentre nel Private equity è in fase di raccolta il quarto fondo che dovrebbe chiudersi a breve a 600 milioni, senza considerare gli investimenti sul fondo 3 e i 150 milioni di impieghi di Clessidra Factoring. Complessivamente Clessidra ha investimenti in essere attorno agli 1,3 miliardi di euro, su un totale della holding Italmobiliare superiore ai 3 miliardi. Una soglia che, per essere ulteriormente sviluppata, necessita di nuovi mercati.
«Clessidra – dice Carlo Pesenti – sta concludendo un ciclo. Un ciclo forse più lungo dei soliti, perché caratterizzato da due anni di pandemia, ma proprio in questi mesi abbiamo svolto un lungo lavoro di ripensamento, di rinnovo delle strategie per adeguarci a un contesto complessivo che è cambiato. È mutato l’orientamento delle banche, tanto che abbiamo aperto una nuova sgr per il capital credit e una società di factoring, e anche l’atteggiamento degli investitori non è più il medesimo di quando abbiamo iniziato, per non dire delle geografie e della geopolitica. L’Italia rimane un Paese di grandi opportunità, ma è necessario, riteniamo, integrare e ampliare il nostro network. Guardiamo a una geografia più ampia. Penso a Francia, Spagna, al Mediterraneo, le aree dove le imprese italiane sono più presenti e dove è possibile ipotizzare delle reti future. Il nostro scopo è crescere, per aumentare la base del nostro perimetro di interesse e anche per attirare investitori diversi».
C’è un tema strategico che suggerisce l’uscita dai confini domestici. «Sui mercati privati – sottolinea Federico Ghizzoni – gli investitori sono sempre più sensibili alla diversificazione e non fa differenza se sono investitori italiani o esteri. Una piattaforma specializzata su un singolo Paese avrà nella migliore delle ipotesi solo una minima ripartizione dei patrimoni investibili. Se invece la piattaforma ha un respiro europeo è ovvio che aumenterà la propensione all’investimento. Ci sono investitori che non prescindono da una diversificazione geografica. La logica è dunque quella di ampliare la base degli investitori per poter aumentare le dimensioni dei fondi. Così, sia che si tratti di equity o di debito l’idea è proprio quella di iniziare ad esplorare una crescita geografica di Clessidra, mantenendo nell’equity le nostre prerogative, ovvero di avere la maggioranza nelle medie imprese in cui entriamo».

La vocazione è industriale. I numeri sono centrali in ogni valutazione finanziaria ma, dice Ghizzoni, «rispetto al passato, abbiamo portato una analisi molto approfondita sui segmenti di mercato. È inutile impegnarsi in aree già consolidate, cerchiamo spazi di crescita. Lavoriamo molto sul progetto. Se invece parliamo di debito, stiamo assistendo a una evoluzione dei prodotti. Noi partiamo da un presupposto: offrire ciò che serve alle imprese. Ovvero prodotti che siano alternativi e complementari all’offerta che arriva dall’universo bancario».
A sentire Clessidra, le locuste sono morte. I fondi che spolpavano le aziende sono parte di una aneddotica arcaica, non più attuale. Oggi, dice Pesenti, «quando analizziamo una azienda individuiamo subito le leve di creazione del valore, cerchiamo di immaginare le potenzialità di crescita. La managerializzazione, lo sviluppo internazionale, le acquisizioni effettuate sono elementi decisivi nella valutazione iniziale, ma consideriamo fin dall’inizio anche il momento dell’exit, quando andremo ad allocare quell’azienda in un determinato mercato a operatori interessati. Scrigno mi sembra un caso esemplare del nostro approccio. Dopo tre anni abbiamo venduto un’azienda che era perfetta dal punto di vista industriale. Nell’agroalimentare il progetto Argea nel vino ci ha visto protagonisti di diverse aggregazioni, come Botter, Mondo del Vino, Cantine Zaccagni, tanto che oggi Argea è un gruppo che ha raddoppiato le dimensioni e si presenta in maniera diversa. La stessa cosa nel lighting con L&S con cui abbiamo fatto degli add on e oggi è una realtà con stabilimenti in Cina e Germania. L&S e Argea sono aziende globali, ben gestite, interessanti».
Il trend Esg da fenomeno di moda è diventato irrinunciabile: «In Europa la sostenibilità è maggiormente integrata nei processi di business rispetto al resto del mondo, compresi gli Stati Uniti. Per Clessidra è un riferimento strategico nella creazione di valore ambientale, sociale e di governance», dice Pesenti.
Un cambiamento importante. «Nella finanza, 10-15 anni fa, non era così centrale – ricorda Ghizzoni -. Oggi anche per la finanza è determinante, per la semplice ragione che sempre di più, dal fronte degli investitori fino ai risparmiatori, c’è la volontà di dare soldi a chi si classifica Esg compliant. In tutte le operazioni che abbiamo fatto dalla partenza del fondo abbiamo concordato con l’azienda, prima di erogare, obiettivi in ambito Esg. Non è possibile che il comitato investimenti approvi un impegno senza che ci siano obiettivi chiari, perseguibili e se andiamo alla fine dell’investimento, lo stesso management (il team di investimento del fondo) non avrà riconosciuto integralmente il ritorno sull’investimento se l’obiettivo non è stato raggiunto». A livello mondiale, nel totale dell’industria dell’asset management, il 40% è investito in prodotti Esg. Nel 2016 era praticamente a zero. Clessidra è molto più avanti.
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01 mar 2023
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