Giugno 9, 2023

«Mai imparare la politica giocando a Risiko»

Professor Vittorio Emanuele Parsi, autore del recente saggio «Il posto della guerra e il costo della libertà» (Bompiani), accademico della Cattolica di Milano, in questi giorni si registra il primo anniversario della guerra in Ucraina. È ipotizzabile un orizzonte temporale per la fine di un conflitto così infuocato nel cuore dell’Europa?

«È difficile immaginare tempi. Se dovessi scommettere, direi che non penso possa terminare prima della fine dell’anno».

Armi e diplomazia: sono due opzioni in contrapposizione?

«Tutt’altro. Sono due leve a disposizione degli attori per cercare di arrivare a una conclusione. L’esito militare comporta poi margini per una trattativa, e determina il perimetro stesso della trattativa. Se vincono i russi e un conto, se gli ucraini liberano ulteriore territorio, la dialettica e i contenuti oggetto del tavolo diplomatico saranno ben differenti. Come diceva Konrad Adenauer, “trattare con una tigre significa farsi mangiare”».

Chi può mediare tra i contendenti? Il Papa può essere un interlocutore per entrambi i fronti?

«Il pontefice è meglio si dedichi ai profili spirituali. Si possono però cercare sponde. La Cina per esempio. La visita dell’alto funzionario cinese a Mosca, di contro, è però interpretabile come un sostanziale appoggio a Putin. In quella sede il diplomatico pechinese ha riconosciuto che la Russia cerca una via negoziale…».

Il ruolo della Nato torna centrale: come si sta distinguendo in questo ambito l’Italia con Meloni premier?

«Giorgia Meloni, come leader di opposizione è stato molto atlantista, allineandosi e smarcandosi rispetto a cose differenti che diceva su Putin fino a poco fa. Ha capito che l’Italia ha un posizionamento internazionale definito, e che questa dimensione è un bene dell’Italia. I leader degli altri partiti della coalizione di centrodestra sono invece due soggetti che hanno rapporti molto più amichevoli con Putin. Da qui tanti distinguo. Meloni a Palazzo Chigi ha un compito difficile. La sua carriera politica se la gioca sulla guerra».

Come vive l’opinione pubblica italiana questa fase?

«È blandita da troppi che non amano particolarmente gli Usa e la Nato, che si illudono di cavalcare i sentimenti di un’opinione pubblica lasciata a se stessa. Gli italiani non vogliono la pace, vogliono esser lasciati in pace, convinti di poterlo fare, al di là di ogni senso di vera solidarietà».

Nella Nato non c’è solo la posizione italiana. C’è anche chi ha un approccio più morbido come la Turchia…

«Ankara in Siria si è allineata con Russia e Iran. Erdogan è il membro più inaffidabile della Nato, ma della Turchia abbiamo bisogno. Gli altri paesi hanno opinioni pubbliche preoccupate e stanche, ma meno infantili della nostra, che fatica ad assumersi le proprie responsabilità. Non vuole assumersi responsabilità. Il nostro è un paese di free rider, dalle tasse, agli abusivismi, all’impegno per la sicurezza collettiva».

Cambia la geopolitica e anche – perché connessa la politica energetica dei paesi occidentali -. Il rapporto con la Russia è compromesso per sempre?

«Assolutamente sì, Non torneremo a fare affari con Mosca. Non venderemo o compreremo nemmeno uno spillo. La presunta crisi dell’agroalimentare italiano per la fine dei commerci con la Russia non c’è stata, perché il mancato export è stato più che compensata dai nuovi acquirenti negli altri paesi occidentali. La Russia, come ha detto Putin nell’ultimo discorso,
punta a staccarsi dall’Occidente. Vedremo a chi i russi venderanno il gas. La Cina comprerà al massimo il 20%-30% degli idrocarburi che Mosca vendeva agli europei e a prezzi ben più bassi».

Come è stata l’evoluzione della figura del leader Zelensky?

«L’Italia ha avuto il partito di maggioranza relativa fondato da un comico, e qui qualcuno ha sindacato sul ruolo del presidente ucraino. Come ha detto Biden Zelensky è stato forgiato “dal ferro e dal fuoco”».

Quale ruolo per Usa e Cina in questa fase?

«Gli Usa si confermano leader del mondo libero, e l’Ue ha tutto l’interesse a restare con Washington per affinità di principi, valori e istituzioni. Pechino deve scegliere: si candida a essere guida di un mondo multipolare e multilaterale, che si riconosce nelle regole; o pensa di essere il “senior partner” di un criminale di guerra come Putin? Il nostro comportamento cambierà in base a quello di Xi».

Draghi sintetizzò il tema guerra con la dicotomia armi-condizionatori. L’orientamento dei cittadini che peso avrà rispetto agli effetti materiali del conflitto e alle scelte di politica internazionale?

«Molto. La democrazia non è un sondaggio continuo. I cittadini si esprimono attraverso le elezioni, che sono ricorrenti. Seguire l’opinione pubblica come Salvini o Conte è una scelta miope e di corto respiro. Non un esercizio di leadership. Una parte dell’informazione italiana è parecchio sciatta: un tg nazionale commentando la visita di Biden a Kiev ha parlato di “guerra come scontro tra Mosca e Washington”. Una sciocchezza. L’Ucraina è leader della coalizione, difende la sua terra. Pensare che i governi nazionali e i popoli non contino niente significa avere una visione della politica internazionale appresa giocando a Risiko».

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