L’offerta
di Federico De Rosa22 feb 2023
L’accelerazione impressa dal governo al riassetto di Tim, con l’assunzione diretta da parte di Palazzo Chigi della regia sull’operazione di cessione della rete, dovrebbe portare entro quattro settimane a definire il percorso lungo il quale procedere. L’obiettivo del governo, come ha ribadito ieri il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, «è quello di una rete pubblica o meglio di una rete a controllo pubblico». Il blitz di Kkr se da un lato sembrava aver messo a rischio il piano dell’esecutivo, in realtà ha creato le condizioni per arrivare a un definitivo chiarimento, che è quello che intende fare Palazzo Chigi affiancando un soggetto pubblico al fondo Usa nell’offerta sulla rete. Una mossa che la Borsa ha apprezzato facendo salire il titolo Tim che ieri ha guadagnato il 2,79%«C’è una proposta che dovrà essere esaminata prossimamente, anche altre — ha detto Urso —, comunque seguiamo con attenzione».
L’opzione Fsi
Il governo ragiona attorno allo schema ipotizzato da Kkr, che ha presentato a Tim un’offerta non vincolante per comprare la rete, includendo nel perimetro FiberCop — di cui ha già il 37,5% — e i cavi internazionali di Sparkle, senza indicare quote percentuali e lasciando aperta la possibilità al coinvolgimento dello Stato. Il mercato puntava su una contro offerta da parte di Cassa depositi e prestiti insieme al fondo Macquarie, con cui controlla Open Fiber, ma la richiesta arrivata da Palazzo Chigi a Kkr di prorogare la validità della proposta fino al 28 marzo per sedersi attorno al tavolo e analizzare insieme i risvolti dell’operazione, allontana questa ipotesi, che potrebbe però lasciare il posto a un coinvolgimento della Cassa nell’offerta. La partecipazione di maggioranza in Open Fiber pone tuttavia problemi di Antitrust, di cui è consapevole tanto il governo quanto la stessa Cdp, che è comunque al tavolo di Palazzo Chigi con Kkr e il ministero dell’Economia per collaborare all’individuazione di una soluzione che porti alla creazione di una rete nazionale. L’opzione di affiancare la Cassa al fondo Usa è sul tavolo, ma ci sarebbero altre alternative che il governo starebbe esplorando. Sono circolati i nomi di Poste, Terna, Invitalia, che però a detta degli esperti non metterebbero del tutto al riparo l’operazione da un potenziale rischio Antitrust, avendo le prime due come azionista di maggioranza la Cdp e l’ultima il Mef, che controlla la Cassa. Alcune fonti riferiscono di colloqui tra Palazzo Chigi e il Fondo strategico italiano guidato da Maurizio Tamagnini per studiare la costituzione di un veicolo in cui convogliare i capitali di enti previdenziali e società che gravitano nell’orbita pubblica da associare a Kkr con una quota di minoranza. Una soluzione che eviterebbe un coinvolgimento diretto dello Stato garantendo il controllo pubblico sulla rete per mezzo di patti parasociali sulla governance e regole fissate attraverso l’esercizio del Golden power.
Vivendi e il riassetto
La soluzione arriverà entro quattro settimane, salvo slittamenti che non sono da escludere vista la complessità della partita e gli interessi in gioco che potrebbero cambiare anche radicalmente la configurazione e il perimetro dell’offerta. Il primo azionista del gruppo telefonico, Vivendi, sarebbe sempre dell’idea che togliendo Tim dal listino il riassetto sarebbe più semplice. E con il 24,5% del capitale può esercitare un potere di interdizione decisivo in assemblea. Vista la situazione il consiglio di Tim che si riunirà domani sarà interlocutorio. Ieri intanto il presidente del gruppo, Salvatore Rossi, ha parlato ai manager elogiando il lavoro del ceo Pietro Labriola, a cui ha riconosciuto il merito di «evitare di mettere la polvere sotto il tappeto anche a costo di dire verità scomode. Questo mi rende ottimista».
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