Giugno 7, 2023

Perché l’arresto di Messina Denaro frenerà la «rivoluzione» di Nordio sulle intercettazioni

di Gianluca Mercuri

Una frenata in realtà è in atto da tempo, perché alla fine è Meloni che comanda. E la cultura della premier, se non si può definire giustizialista è di certo ultra-legalitaria e cozza con il rischio che un allentamento dei bulloni la faccia fare franca a qualcuno

Concetto numero 1: «Non sarà mai abbastanza ribadito che non vi saranno riforme che toccheranno le intercettazioni su mafia e terrorismo».

Concetto numero 2: «Le intercettazioni servono soprattutto per individuare i movimenti delle persone sospettate di mafia, terrorismo. Anche quelle preventive sono indispensabili. Altra cosa sono quelle giudiziarie che coinvolgono persone che non sono né imputate né indagate e che attraverso un meccanismo perverso e pilotato finiscono sui giornali e offendono cittadini che non sono minimamente coinvolti nelle indagini».

Concetto numero 3: «Andremo avanti sino in fondo, non vacilleremo e non esiteremo. La rivoluzione copernicana sull’abuso delle intercettazioni è un punto fermo del nostro programma».

In teoria, il 18 gennaio al Senato Carlo Nordio, ha tenuto il punto nella sua battaglia ultra-garantista per una delle riforme per cui si batte da anni e sulle quali ora, da ministro della Giustizia, afferma di non volere recedere (ci sono anche cosucce come la separazione delle carriere dei magistrati e l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale).

In realtà, però, la sensazione sempre più diffusa è che l’arresto di Matteo Messina Denaro, per l’impatto politico e mediatico che ha avuto, abbia impresso una frenata pressoché definitiva agli intenti rivoluzionari di Nordio in tema di intercettazioni. Una frenata in realtà in atto da tempo, perché alla fine è Giorgia Meloni che comanda e la cultura della presidente del Consiglio, se non si può definire giustizialista, è di certo ultra-legalitaria e cozza d’istinto con il rischio che un allentamento dei bulloni della giustizia la faccia fare franca a qualcuno. Soprattutto se i reati di quel «qualcuno» — i colletti bianchi, i politici, gli amministratori — in molti casi non sono così distinguibili da quelli di mafia. Il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, non a caso, ha parlato al Corriere di «borghesia mafiosa» per descrivere «quel mondo amorale al quale appartengono alcuni esponenti delle professioni, della politica e dell’imprenditoria allenati da generazioni a risolvere i problemi attraverso la mediazione di una mafia sempre disponibile».

Certo, resta un po’ un mistero perché Meloni abbia scelto Nordio, se la distanza culturale tra i due è così evidente (la Rassegna se n’era già occupata a fine ottobre), ma è un mistero fino a un certo punto. Alla premier Nordio piace per la sua brillantezza e la sua totale autonomia di giudizio, nonché per la capacità di tenere testa in qualsiasi dibattito a qualsiasi «toga rossa» e di opporsi al pensiero mainstream che tanto la irrita. Se lo propose come candidato del centrodestra alla presidenza della Repubblica, giusto un anno fa, è perché scelte come questa rientrano pienamente nel disegno egemonico meloniano sulla coalizione, il progetto di un grande Partito conservatore che annetta più o meno tutto, lasciando al suo fianco giusto una costola leghista a mo’ di Csu bavarese. E un progetto del genere non può non includere culture più garantiste della sua.

Ma per quanto la cotta intellettuale della premier per Nordio sia forte, di fronte ai richiami della foresta e alle urgenze della politica non c’è cotta che tenga. E dunque. come scrive Francesco Olivo su La Stampa, «per Meloni va celebrata la “vittoria dello Stato” e non è il momento quindi per tornare alla stagione degli scontri con i giudici». Il risultato è che, al di là dei proclami, l’agenda di Nordio dovrà probabilmente cambiare, e che l’idea di limitare fortemente le intercettazioni per i «reati minori» — fattispecie culturale più che giuridica che nell’approccio ipergarantista (soprattutto) di Forza Italia comprende quelli di corruzione — una volta uscita dalla finestra delle intenzioni più o meno buone, rientrerà dalla porta della realpolitik.

Finora, in effetti, parole come quelle dell’ex Procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho — «Le intercettazioni il più delle volte non nascono per il contrasto alle mafie. Alle mafie si arriva dopo. Perché le intercettazioni partono dalla corruzione e da altri reati e sviluppandosi su questo binario poi arrivano a tutto quello che c’è dietro» — potevano essere derubricate a uscita di una toga giallorossa entrata nei ranghi parlamentari dei 5 Stelle e quindi di per sé, nell’ottica del centrodestra garantista, non credibile. Ma ora l’importanza dei cosiddetti «reati spia», che permettono di risalire ad attività criminali prettamente mafiose, viene ribadita con gli stessi concetti dal successore di Cafiero.

In una lunga intervista a La Repubblica, Giovanni Melillo fissa punti che, nella nuova temperie inaugurata dall’arresto del boss trapanese, per Nordio sarà molto difficile smuovere. Dunque, spiega il Procuratore: «Si tratta di un campo delicato e complesso che interroga tutti i sistemi nazionali. Innanzitutto perché nell’era digitale nelle indagini e nei processi confluiscono masse informative incomparabilmente più grandi e delicate rispetto al passato. Ciò obiettivamente pone la necessità di rigoroso governo di strumenti e tecniche di indagini che coinvolgono diritti fondamentali. Dunque, tocca al legislatore tracciarne i confini. Da procuratore nazionale ho tuttavia la responsabilità di sottolineare che oggi le mafie parlano innanzitutto il linguaggio della corruzione e delle frodi fiscali, che è linguaggio praticato largamente dal mercato e nel mercato, fungendo da saldatura di interessi eterogenei».

È un concetto fondamentale, che vale la pena ribadire: corruzione e frode fiscale, se non sono reati ascrivibili direttamente alla fattispecie mafiosa, sono però reati commessi spesso dai mafiosi, e quindi dire di voler intercettare i mafiosi ma non chi commette quei reati non sta in piedi. Ai mafiosi, insomma, si risale spesso partendo da quei reati, dal loro brodo di coltura finanziario, che è diventato il loro brodo preferito.

Per queste ragioni, sottrarre la corruzione dai reati intercettabili in questo momento è impensabile, e Melillo lo dimostra con un artificio retorico che sorprende, spiazza e perfino diverte, nella sua capacità di illuminare il tema: «Sarebbe un danno serio. Perché una parte non secondaria delle conoscenze che costruiamo quotidianamente nascono da indagini su più rilevanti fenomeni di corruzione e di frode fiscale. Anzi, va sottolineato che è più difficile penetrare la segretezza degli accordi corruttivi che penetrare i contenuti di una riunione di mafiosi. Ce lo dice l’esperienza investigativa: capita di frequente che incontri illeciti tra pubblici ufficiali e imprenditori siano circondati da cautele e tecniche elusive da far invidia alla segretezza dei movimenti mafiosi».

Melillo non si ferma qui: difende tutte le intercettazioni, anche quelle più invasive, il cosiddetto trojan, che entra nei computer, nei telefoni e nelle «vite degli altri», per citare uno splendido film tedesco, in un modo che non a caso i suoi detrattori paragonano alla Stasi, il famigerato spionaggio della Germania Est. Nordio, oggi al Senato, è stato appena un po’ più leggero, scegliendo un parametro storico più antico eppure più sofisticato: «Quanto sta emergendo nella Commissione Giustizia del Senato sulla possibilità di manipolare le intercettazioni del trojan non è una novità. Il grande Richelieu diceva “datemi una lettera e un paio di forbici e io farò impiccare l’autore”. È sufficiente prendere una lettera, tagliarla e ritagliarla e fare copia e incolla che si attribuiscono all’autore della lettera cose che non ha mai pensato». Tutte argomentazioni che Melillo liquida seraficamente: «Sul versante della corruzione, credo sia necessario anche quello strumento. Che va ancorato a parametri rigorosi. Ma ripeto: appartiene alla responsabilità politica definire queste scelte, così come valutare il tempo di queste scelte».

Ecco, la «responsabilità politica» e «il tempo delle scelte» ora congiurano per un congelamento delle velleità copernicane di Nordio. Come andrà a finire, lo prevede una donna di mondo come Simonetta Martone, ex magistrata, volto storico di Porta a Porta e ora parlamentare leghista: «Quello che verrà cambiato sarà l’uso delle intercettazioni ai fini della pubblicazione sui mezzi di comunicazione». Una riverniciata a fine mediatici, o antimediatici se si preferisce. Se a Nordio non basterà, non è tanto assurdo prevedere che prima o poi molli tutto, carica e coalizione, e passi magari al terzo polo. Renzi lo adora, e lui lo ha ricambiato con la prefazione al suo ultimo libro. Come avrebbe detto anche Richelieu, tout se tient.

19 gennaio 2023 (modifica il 19 gennaio 2023 | 09:11)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2023-01-19 07:42:00, Una frenata in realtà è in atto da tempo, perché alla fine è Meloni che comanda. E la cultura della premier, se non si può definire giustizialista è di certo ultra-legalitaria e cozza con il rischio che un allentamento dei bulloni la faccia fare franca a qualcuno, Gianluca Mercuri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *