Ottobre 2, 2023

Il derby dell’Autonomia, le due velocità di Meloni e Calderoli

di Francesco Verderami

La premier ha già dettato i tempi, ma sa che il ministro per gli Affari regionali Calderoli cercherà di incardinare la riforma in Consiglio dei ministri prima delle Regionali. In Lombardia la Lega si gioca molto nella sfida elettorale con FdI

Si preannuncia un derby sull’Autonomia, con Calderoli all’attacco e Meloni a fare catenaccio. A Palazzo Chigi sono consapevoli che il titolare per gli Affari regionali cercherà di incardinare la riforma in Consiglio dei ministri prima del 12 febbraio, quando la Lombardia andrà al voto e la Lega a trazione salviniana si giocherà molto nella competizione elettorale con FdI. Non c’è dubbio che l’Autonomia rappresenti per il Carroccio un obiettivo di governo e insieme un manifesto politico per tentare di rilanciarsi nei territori d’origine, dopo che il progetto di trasformarsi in una forza nazionale è entrato in crisi. Perciò l’azione di Calderoli è fondamentale: per il suo segretario è il punto di riferimento di uno schema che non deve fallire. Meloni ha un disegno diverso, mira a incastonare il progetto leghista nel quadro della riforma presidenzialista: solo che i tempi non coincidono perché la revisione della Carta ha tempi molto più lunghi.

Ecco il bivio: bloccare l’alleato in Consiglio dei ministri o assecondarlo, lasciando che sia l’iter in Parlamento a rallentarlo? La strada scelta è che l’Autonomia non possa essere varata se prima non sono stati quantificati i Lep, i Livelli Essenziali delle Prestazioni sui quali già negli anni passati si è arenata la riforma. Se così stanno le cose (e così stanno) servirebbero mesi per uscire dal labirinto. Anche perché la premier non accetterebbe mai di aggirare l’ostacolo, prendendo a riferimento la spesa storica: il Sud insorgerebbe. Una spaccatura del Paese non è proprio il sogno di chi siede a Palazzo Chigi.

Su questa linea Meloni sa di essere in sintonia con il Colle: più volte Mattarella ha caldeggiato un processo di maggiore autonomia delle Regioni, ma in un quadro nazionale unitario, come ha avuto modo di spiegare nelle forme dovute al nuovo governo. «E senza il suo assenso — spiega un autorevole ministro — le sbarre del passaggio a livello non si alzerebbero». Di sicuro la premier non le forzerebbe. Anzi. Sia chiaro, Meloni non punta a sabotare la riforma che sta a cuore alla Lega ma a farla marciare insieme alla revisione della Costituzione e alla legge su Roma Capitale.

Perché riesca l’operazione, necessitano tempi più lunghi per l’Autonomia. D’altronde, già nel programma di coalizione, FdI era riuscita a inserirla dentro uno schema che per certi versi la «ingabbia», con i richiami alla coesione e al riequilibrio territoriale. Così — ora che quelle righe scritte per stringere l’accordo di centrodestra vanno tradotte in legge — si accende la disputa. All’apparenza è roba da feticisti del diritto, in realtà è il sale del derby. Per esempio, se i fondi non spesi dalle regioni ritornassero nelle casse dello Stato, si tratterebbe solo di un mero trasferimento di competenze.

La verità è che l’Autonomia è un intrigo politico nazionale, perché non coinvolge solo le forze di maggioranza ma in modo indiretto anche un partito di opposizione. Tra i modelli di riforma sui quali si discute, infatti, c’è anche quello elaborato a suo tempo dalla regione Emilia-Romagna, retta dal Pd. «Se il governo decidesse di far propria quella bozza, che è meno radicale rispetto ai progetti del Veneto e della Lombardia, come potrebbero i democratici gridare al golpe?», dice un esponente del centrodestra.

Non a caso Calderoli — incontrando i governatori per tentare di accelerare il suo provvedimento — ha cercato la sponda di quelli dem. Già a Palazzo Chigi non era stato preso bene il fatto che il ministro leghista avesse organizzato il tour senza preannunciarlo alla premier. Ma il problema è un altro: dai tempi dei referendum regionali per l’Autonomia molte cose sono cambiate e le priorità oggi sono diverse. Bonaccini, che da presidente dell’Emilia-Romagna si era speso nella battaglia autonomista, oggi è candidato alla segreteria del Pd. E per conquistare i voti al Sud del suo partito, non può inimicarsi i colleghi della Campania e della Puglia, De Luca ed Emiliano, ostili alla riforma. Perciò si è defilato.

Così la Lega è rimasta sola. Certo Meloni non vuole tradire il patto, anche perché nel suo stesso partito c’è chi vuole sfatare due falsi miti: «Il primo è che la riforma sia la panacea di tutti i mali. Il secondo è che sia lo strumento che affossa il Mezzogiorno. Piuttosto bisogna armonizzare il quadro». Cioè garantire l’autonomia delle regioni con un governo nazionale forte e un sistema presidenzialista. In effetti sta tutto scritto nel programma di centrodestra. Poi però bisogna fare le leggi…

13 gennaio 2023 (modifica il 13 gennaio 2023 | 23:38)

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, 2023-01-13 21:40:00, La premier ha già dettato i tempi, ma sa che il ministro per gli Affari regionali cercherà di incardinare la riforma in Consiglio dei ministri prima delle Regionali del 12 e 13 febbraio: in Lombardia la Lega si gioca molto nella sfida elettorale con FdI, Francesco Verderami

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