Il Polo Nord è il luna park della permacrisi, il luogo dove il groviglio di crisi che avvolgono la vita umana sulla Terra è più stretto e interconnesso: climatica, militare, geopolitica. Superato il Circolo polare artico, su, sopra i 66 gradi di latitudine, la fragilità ecologica della fusione dei ghiacci diventa creazione di spazio nuovo, e lo spazio in politica viene sempre rivendicato, che si tratti di possibilità agricole, rotte commerciali o risorse della vecchia o nuova economia.
Questa è la storia del presente e ci riguarda tutti. Marzio Mian è il giornalista artico per eccellenza, il suo ultimo libro, Guerra bianca (Neri Pozza), è una mano che prende la nostra testa distratta e la ruota verso il punto cardinale chiave della contemporaneità: il nord. Non è verso est, dove a lungo abbiamo creduto di dover guardare per capire il mondo, o verso sud, da dove abbiamo sempre sperato che potesse cambiare, ma è verso nord che dobbiamo esercitare la nostra comprensione della complessità. “L’Artico è il destino dell’umanità. È la realtà che ce lo dice, quella di un pianeta desertificato, affollato e affamato di risorse”, dice Mian rispondendo al telefono da Milano, dove hanno avuto campo base le sue spedizioni, spesso fatte con la società no profit Arctic Times Project, dream team internazionale del reporting globale polare.
L’Artico è un nuovo mondo, uno spazio imprevisto. Credevamo fosse il posto della Terra senza storia ed è invece qui che la storia si è messa in movimento
Serve lavoro di squadra perché viaggiare a quelle latitudini è caro, complesso e pericoloso e l’unica economia di scala consentita è la collaborazione, spesso finanziata da grant più che da giornali, un lavoro da cronisti esploratori. “L’Artico è un nuovo mondo, uno spazio imprevisto, è un nuovo pianeta quasi dietro casa, a lungo è stato un luogo immaginato e semi-fantastico di grandi imprese, credevamo fosse il posto della Terra senza storia ed è invece qui che la storia si è messa in movimento”. Tra le cose che l’assioma-ormai-meme di Francis Fukuyama sulla fine della storia non aveva messo in conto c’era la scoperta di questo nuovo oceano navigabile a nord, con la prospettiva tragica di una scomparsa del ghiaccio d’estate già entro metà secolo. L’Artico è il pezzo di mondo che si riscalda più in fretta, per un fenomeno chiamato amplificazione artica: meno ghiaccio vuol dire più radiazione solare assorbita invece che riflessa, più radiazione assorbita uguale più calore, più calore uguale ancora meno ghiaccio, e così in loop, estate dopo estate, fino a quando il ghiaccio non ci sarà proprio più, tra circa un ventina di conferenze Onu sul clima e sei o sette governi italiani.

Ashley CooperGetty Images
L’amplificazione artica è quel raro fenomeno che terrorizza allo stesso modo gli attivisti per il clima, gli scienziati e gli esperti dei think tank militari. “Durante la Guerra fredda l’Artico sembrava condannato alla pace, perché era un oggetto geopolitico unificato dal ghiaccio e costretto alla cooperazione, oggi invece, anche per effetto della crisi climatica, ci sono due Artici, quello occidentale e quello russo, condannati a scontrarsi”. Gli interessi in ballo sono troppi e le leggi sono un capolavoro di anacronismo, concepite per quando quello era uno spazio ostile e non navigabile. Marzio Mian è uno dei pochi giornalisti occidentali, l’unico europeo, ad aver viaggiato nell’Artico russo, lungo il tratto orientale del mare di Barents, terra di segreti, idrocarburi, paranoia e testate nucleari. “Il livello di mistero lì è pari a quello della Corea del Nord, nemmeno la maggior parte dei russi può arrivarci senza permesso”.

CSA ImagesGetty Images
Il 24 febbraio dell’anno scorso la volontà di potenza della Russia è esplosa a sud, in Ucraina, ma la sua mistica imperiale si è sempre abbeverata a nord, quello è il loro mare nostrum con 24mila chilometri di coste, un ambiente che ancora oggi, nonostante il riscaldamento globale, è ai limiti della sopravvivenza umana. In Guerra bianca c’è un’intervista a Viktor Bojarskij, leggendario esploratore russo, uno di quei personaggi di frontiera capaci di resistere a ogni sollecitazione termica, nei quali Mosca ha incarnato la sua “febbre bianca”, il senso dei russi per l’Artico. Dice Bojarskij a Mian: “Nel freddo diamo il meglio di noi, è la nostra Heimat, eroismo, letteratura, dipendenza dal sacrificio, esibizione di potenza. L’inverno è come una coperta calda”. Sotto quella coperta però ci sono tesori inestimabili, come la Northern Sea Route, la scorciatoia commerciale artica, alternativa al giro per le merci che oggi passa dal Canale di Suez, ma ci sono anche le sue ricchezze da petrostato: 30mila miliardi di dollari di risorse minerarie e geostrategiche, la cassaforte putiniana di gas e petrolio. Più tardi il mondo decarbonizza produzione di energia e trasporti, più quella cassaforte avrà valore.
Oggi, anche per effetto della crisi climatica, ci sono due Artici, quello occidentale e quello russo, condannati a scontrarsi
E poi ci sono gli Stati Uniti, con quella curiosa e remota propaggine artica chiamata Alaska, lo stato più vasto dell’unione, exclave comprata proprio dai russi per 7 milioni di dollari nel 1867. Dopo la grande cecità degli anni di Trump, uno degli obiettivi strategici della presidenza Biden è un piano chiamato Regaining Arctic Dominance, un progetto muscolare e ambizioso che si è scontrato col fatto che a quelle latitudini non ci si improvvisa esploratori o guerrieri del ghiaccio. Nel suo libro Mian racconta che “i marine americani si trovano più a proprio agio nel deserto della Mesopotamia o nella Valle di Kandahar che nel loro Artico”, episodio più eclatante un’esercitazione del marzo 2022, la manovra di un corpo scelto chiamato Arctic Angels (nome più da spogliarellisti che da militari), svolta su un altopiano a nord di Fairbanks in Alaska che si è tramutata in un festival di imbarazzo e ipotermia: i soldati non erano in grado di costruirsi ripari nella neve, si sono trovati tagliati fuori dalle linee di rifornimento, i parà sono stati ricoverati per ogni tipo di malessere, comprese gravi ustioni perché avevano acceso un fuoco in un carro armato, avevano troppo freddo (e qui si potrebbero aggiungere le risate dei servizi segreti russi all’ascolto).

Enrique Aguirre AvesGetty Images
Tutto combustibile per la mistica moscovita, alimentato dal fatto che le regioni artiche controllate da Putin, come la Novaja Zemlja o la Jakuzia sono di decine di gradi Celsius più fredde dell’Alaska che ha piegato così facilmente gli angeli americani dell’Artico. Il grande nord è però storia di tante storie, Mian le racchiude tutte nel filo del nuovo mondo: le depressioni violente e suicidarie degli inuit groenlandesi al contatto con la vita occidentale, le eccellenze della ricerca scientifica italiana alle Isole Svalbard, l’ossessiva ricerca di una nuova Rotterdam del nord in vecchi porti di pescatori e anche un certo slittamento culturale, appaltato alle capitali del nord Europa, nuova Magna Grecia di questo mondo settentrionalizzato, dal cinema agli stili di vita, dalla gastronomia al neo-ambientalismo. Dobbiamo imparare a capire la vita artica perché la vita artica influenza noi, futuro e presente, testa, cuore e portafogli.
, 2023-01-14 06:00:00, L’Artico è la nuova frontiera politica ed economica del mondo Esquire Italia,