Guai a mettere in naftalina il 2019, la circolazione di entusiasmo, le opportunità offerte alla speranza, l’ospitalità aperta all’infinito
08 Gennaio 2023
Gianluigi De Vito
Sembra sia nata per stupire, la Matera millenaria. Giardini di pietra in un ventaglio friabile di grotte, tufo e rupi che hanno negli anni cucito destini lenti ma armoniosi, in un ecosistema frutto d’ingegno e non di fuga dall’avversità dei luoghi. Ma il prisma della storia resiliente mette ora la città davanti allo specchio e sollecita una rinnovata necessità di stupire, fuori dalla depressione sociale che l’orgia del turismo nasconde ma non seppellisce. Davanti allo specchio, tre ordini di problemi.
Patrimonio mondiale dell’Unesco (1993), Capitale europea della cultura (2019), meta intercontinentale di viaggiatori (più randagi che stanziali): gli ultimi vent’anni anni sono un quaderno d’emancipazione da fare invidia. Ma – e siamo al primo dei nodi dell’agenda 2023 – basta la salvezza del bello? Che cosa c’è oltre la scossa estatica della cinematografia d’autore, da Pasolini a Mel Gibson passando per Omar Sy?
Guai a mettere in naftalina il 2019, la circolazione di entusiasmo, le opportunità offerte alla speranza, l’ospitalità aperta all’infinito. Ma come superare la logica dei grandi eventi, dove e come fondare un nuovo progetto? C’è una larga fetta di città fratturata: è quella che non gode dell’impennata dei prezzi prodotta dal valore aggiunto di Matera Capitale, del divertificio e del processo di kodakizzazione che la messa in posa di Matera ha generato. Del resto, il lascito 2019 non è solo bollicine: la gran parte delle chiesi rupestri è chiusa; la cittadella dell’industria e delle arti cinematografiche è nel cassetto; l’università è frequentata da pochi intimi che non generano nessun indotto; il turista «ricco» è nicchia mentre quello «di massa» e «di prossimità» morde e fugge. L’ammodernamento dell’unico cineteatro degno di essere chiamato tale, il «Duni», è orizzonte ancora incerto.
«Tanto turismo in più» non è uguale a «molto lavoro in più». L’anima artigiana, terziaria e industriale, dalla Val Basento alle cucine e ai salottifici murgiani, dal Paip alla neoincubata Ferrosud-Mermec, ha storia vivace quanto quella del turismo – e siamo al secondo tema dell’agenda 2023 -. Ma si sente scartavetrata dalla lentocrazia che non adegua infrastrutture e piega con i ritardi. Il pressing della classe imprenditoriale, in linea con la Zes Ionica, è per un raccordo stradale e ferroviario con Gioia-Bari-Taranto e quindi con l’Euromediterraneo, coi Balcani, perché non basta la discesa a Sud con la Matera-Ferrandina o verso l’Ovest campano. Serve sprovincializzarsi senza per questo de-lucanizzarsi e guardare alla macro regione economica alla quale Matera appartiene da sempre, quella pugliese. A patto però di riportare a galla un altro versante strategico: quello agricolo, zootecnico e agroalimentare. La vertebratura agricola ha subito una colonizzazione pugliese e emiliana, ma ha numeri da traino e competenze che fanno la differenza. L’umile semplicità degli agricoltori materani è nota: preferiscono la sapienza dell’esperienza all’apparato delle teorie, riconoscono che devono sempre ricominciare e sanno farlo.
Matera città è cresciuta, in barba allo spopolamento che invece terremota i paesi dell’interno. Fa i conti con holding del crimine e mafie che ancora non hanno interesse a radicalizzarsi. Ma la strozzatura più grossa – e siamo al terzo nodo 2023 –è legata a una politica ritenuta incapace non solo di incidere per far tornare Matera la città laboratorio come ai tempi di Adriano Olivetti, Ludovico Quaroni, Carlo Aymonio e Giancarlo De Carlo, ma anche non più in grado di giocarsi un ruolo paritetico nell’assegnazione delle risorse da parte della Città-Regione, Potenza, specie per quel che riguarda la sanità. Una città che non è capace di cura non attrae e s’accuccia sulla paura. Ma la rivendicazione non può misurarsi nell’attacco al suprematismo potentino. Scorticando la pelle ai fatti, non c’è stata classe politica materana che non abbia finito con l’accomodarsi nelle logiche spartitorie. Nessun processo ha senso senza liberarsi dell’onnivoro clanismo familiare. Se Potenza ha conquistato centralità è anche perché si è presentata al post Unità d’Italia con un Dna risorgimentale liberale, antifascista e anticomunista che ha saputo fare la differenza. Il resto lo hanno fatto potentini che hanno scritto la storia, da Colombo a Marotta, a Verrastro. Le scelte materane sono rimaste invece sempre imprigionate nell’egemonia di notabili, raccoglitori di voti e dispensatori di posti, quasi che la classe politica conoscesse solo determinate estrazioni e cognomi. Dicono che sia stato anche per spezzare questa supremazia cetuale che i materani abbiano voluto cambiare vento amministrativo e spruzzare polvere di 5 stelle. Ma il sentiment non sposta l’urgenza: Matera deve rendere più vera la sua storia e non accontentarsi di bivaccare nella medianità.
, 2023-01-08 13:26:00, A Matera non bastano turismo e cultura: va rilanciata l’economia La Gazzetta del Mezzogiorno,